Nel microcosmo turbolento che gravita intorno alla laboriosa provincia del Nordest e che, musicalmente parlando, ha in gruppi come Northpole e Non Voglio Che Clara le sue stelle più brillanti, i Valentina Dorme possono certamente ambire al ruolo di supernova implosa, buco nero che tutto inghiotte e fa sparire, luce compresa.
“Il coraggio dei piuma” è il loro secondo album targato Fosbury, dopo lo splendido “Capelli rame” e una lunga serie di partecipazioni, ep e dischi autoprodotti. Dieci domande dieci per entrare nel loro mondo, per capire dove andrà la loro musica. Dieci riprese prima del gong e poi chissà…
La metafora sportiva descrive bene (tra le altre cose) la vostra situazione di piccola band costretta a confrontarsi con i pesi massimi del cosiddetto rock italiano. Più che Davide contro Golia, però, viene in mente Cassandra, alle cui profezie nessuno presta la dovuta attenzione. Pensi che “Il coraggio dei piuma” abbia i numeri per fare uscire i VD dallo status di band di culto?
Non lo so, in verità…A mio parere, la dimensione di “band di culto” non è poi così male. Qualche anno fa, se qualcuno mi avesse detto che avremmo avuto il privilegio di essere ascoltati da centinaia di persone e non dai soliti dieci amici, la cosa mi avrebbe fatto sorridere. Invece è successo, grazie alla Fosbury Records. Nella band tutti hanno un lavoro, uno di noi è papà di tre bambini… Insomma, la musica deve rimanere un hobby, impegnativo e cazzuto, ma comunque una parte della nostra vita. Se poi un regista famoso e con mille conoscenze facesse un video che ci sparasse in testa alle classifiche di vendita, beh, prenderemo le nostre decisioni…
Voi, i Northpole, Non voglio che Clara, la Fosbury…Vi riconoscete in questa Terza Italia del “rock artigianale di qualità”?
Essere accostati a Northpole e Non voglio che Clara è un privilegio…La Fosbury, poi, è la nostra famiglia. Sì, ci piace riconoscerci in questa “scena”. Il Nord-est riesce a produrre anche piccoli assaggi di buon artigianato musicale, oltre che beni industriali in serie.
Ad un primo ascolto, “Il coraggio dei piuma” suggerisce una continuità con i lavori precedenti. Si nota però un certo lavoro di “smussamento”, per quanto riguarda gli arrangiamenti. Un sound più pop, nel senso migliore del termine, quasi un contrappeso funzionale alla densità dei testi. Una riscoperta della melodia?
Abbiamo sempre cercato di essere melodici e “rotondi”. Forse, con quest’ultimo lavoro, ci siamo avvicinati alla nostra idea di “pop”. Parte del merito va sicuramente a Max Trisotto, che ha registrato l’album e ci ha aiutato moltissimo. Poi, sai, nei tre anni che sono passati tra “Capelli rame” e “Il coraggio dei piuma”, abbiamo ascoltato tantissima musica italiana degli anni 70 e 80…Da Fossati a De Andrè, da Battisti a Lolli…
Per contro, la scrittura è, se possibile, ancora più introspettiva, ermetica, ellittica. Per usare un linguaggio cinematografico, c’è un uso maggiore del montaggio che non dei piani sequenza a cui ci avevate abituato…
Oddio, e io che pensavo di essere diventato più chiaro e intelleggibile!
In effetti, a pensarci bene, il piano sequenza è una tecnica “linguistica” che abbiamo usato più in “Capelli rame”. La presenza di improvvisi flash e cambi di prospettiva si ritrova spesso nell’ultimo disco. Spero che l’ascoltatore non si trovi spiazzato, il nostro intento è di essere diretti e non interpretabili. Semplici, in una parola.
E’ sempre difficile individuare citazioni precise nei vostri pezzi, forse per il forte autobiografismo. Ce ne svelate qualcuna? In generale, quali sono le vostre principali influenze artistiche, al di là di quelle strettamente musicali?
C’è ancora De Andrè ne “Il mare”, leggermente modificato, come succedeva in “Tredici” (pezzo di “Capelli rame”). C’è John Cheever ne “Il tuffatore”, Truffaut ne “L’amore a trent’anni” (lui ha girato un film che si intitolava “L’amore a vent’anni”). Cinema e letteratura (soprattutto americana…Roth e Auster su tutti, oltre al solito immenso Carver) continuano a essere un riferimento essenziale nei nostri brani. Ti svelo un piccolo segreto: uno dei pezzi nuovi si intitola “Marco Ferreri” ed è ispirato al film “Diario di un Vizio”, di Ferreri, appunto.
“Un tuffatore” è un bozzetto straordinario. E, come la title track, utilizza il gesto atletico per parlare di qualcos’altro. Di’ la verità: è una poesia messa in musica. Come nasce la canzone?
Nessuna poesia, mi spiace deluderti…E’ nata prima la musica, stranamente. Il testo, abbastanza intimo e realistico, è frutto di una delle mie ossessioni sportive. I tuffatori, come altri atleti, si allenano 10 ore al giorno per una performance “pubblica” di pochi secondi. Inquietante. Volendo fare un parallelo, non so quanto pertinente, la composizione di un brano non è poi così diversa: passi ore in sala prove per aggiustare una melodia o uno stacco e poi proponi il tuo lavoro al pubblico…”Un tuffatore”, una canzone di un minuto e venti secondi, per arrivare alla stesura definitiva, è stata rimaneggiata per mesi e poi abbiamo scelto di registrare una versione scarna e semplicissima, chitarra acustica e voce.
Mi sempre è piaciuto il modo in cui aggirate i cliché della forma-canzone per raccontare delle storie. E’ una cosa tipica di alcuni cantautori, e in questo momento penso anche alla vostra cover di Gaber, che sembra scritta da/per i VD. Rispetto a “Capelli Rame” e “Nuotare a Delfino”, è cambiato qualcosa nel vostro approccio ai pezzi?
Nessun cambiamento sostanziale. Come dicevamo, più cura nel suono e nel modellare le melodie.
Più cantautori e meno post-rock nei nostri ascolti.
“L’amore a trent’anni” è un pezzo autobiografico più degli altri? Di cosa parla?
Doveva essere il brano che dava il titolo all’album, pensa un po’…Parla di una ragazza che, per un lungo periodo, ha sofferto di depressione dopo aver dato alla luce il primo figlio. Non è così chiaro, ascoltando la canzone…sembra la solita storiella di abbandoni e ritorni.
“Canzone di lontananza” è secondo me la migliore dell’album e anche una delle cose più belle dei VD. Quando ho sentito la sua versione elettronica (“Il giorno n.303”) mi sono detto: accidenti, è quasi più bella dell’”originale”. Che stiano diventando i nuovi La Crus? Dobbiamo aspettarci una svolta elettronica?
Chissà! Paolo, chitarrista della band, ama comporre con la sua Roland 303…è un grande fan di Autechre e Aphex Twin…Non escludiamo che parte delle cose nuove possano essere influenzate da questa passione.
Il senso della sconfitta è sempre molto forte in quello che scrivete, siete davvero così fatalisti?
Mah! La sconfitta non è sempre così tragica. Si può perdere con stile. Magari, un giorno, dopo mille KO, si può vincere ai punti.Autore: Rino Cammino
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