Bruno (Jeremie Renier) se ne va in giro, biondo. Sfumacchia, si guarda il giubbino con la banda rossa comprato ieri nelle vetrine, manda due ragazzini a rubare, ricetta roba rubata, ruba anche lui. Poi diventa papà, ha un figlio, Gimi. Passeggia, fuma piano, questua, vende il figlio, fa i soldi. Sonia (Deborah Francois), la mamma, però sviene. Senza il piccolo Gimi non si vive. Non è che Bruno si penta ma è che, ragiona, no Gimi no Sonia. Perciò prova a riavere il neonato indietro.
La descrizione semplicemente ermetica alla quale sottopongo l’attacco di questa recensione non è dovuta a una trovata di stile. E’ che non si rintraccia altro modo per riportare in parole scritte la disorientante “spensieratezza” – nel significato esatto del termine – del protagonista voluto dai Dardenne. L’enfant, il bimbo di cui al titolo, in realtà è lui, Bruno, più che il pargolo ancora in fasce nato dall’amore (?) con Sonia.
Picaresco e incantato viene descritto il vagare del personaggio, catturato dai colori, dall’erba voglio, dallo schifo – tipo Accattone – per il lavoro. Come i bambini crede di avere tutte le possibilità. Non si carica di scrupoli: è cresciuto per strada, è l’enfant. Per i “mai nati” come lui, i soldi e l’amore sono balocchi.
Bruno trattiene con sé la somma incoscienza dei bimbi. Una condizione di logica apatia che induce a barattare il figlio per 500 euro, per poi dire con occhi “normali” alla ragazza madre: “vabbè tanto ne facciamo un altro. No?”.
Il ritmo fotoromanzesco del film procede dritto, nei lunghi piano sequenza che obbligano a stare costantemente dalla parte, in senso spaziale, del cresciutello “enfant”. Pochissimo montaggio, la ricattante nouvelle vague durdennina ci ingabbia gli umori per farli esplodere al momento giusto: la macchina da presa, rozza, si incolla a Bruno e ai suoi incolpevoli misfatti trascinandosi dietro gli spettatori, anche nolenti, in vortice. Finchè il protagonista non diventerà adulto, da un momento all’altro.
La situazione non può che precipitare, ma come si diceva in un’altra notabile pellicola-banlieu francese (l’Odio), il disperato che va in picchiata insiste a ripetersi “fin qui? Tutto bene”. Poi, vabbè, ci sarebbe l’atterraggio.
Palma D’Oro a Cannes 2005.
Autore: Sandro Chetta