E’ una definizione solare, ma un po’ riduttiva, quella che i componenti della storica band di Seattle danno di sé stessi, nel titolo di questo ‘The Lucky Ones’, come dire: i fortunati. Del resto, da sempre i Mudhoney mantengono un basso profilo pubblico evitando di prendersi troppo sul serio – hanno dei lavori propri, a Seattle, oltre quello di musicisti, e non hanno un vero e proprio sito internet ufficiale… – ma dopo 20 anni d’attività, penso sia giusto render loro atto di ciò che sono stati e che, sorprendentemente, ancora oggi sono: una grandissima r’n’r band, tra le più autentiche, longeve e coese, soprattutto. Questo nuovo album del 2008 esce nei negozi proprio negli stessi giorni in cui la Sub Pop pubblica anche la ristampa deluxe del ventennale – stracarica di bonustrack – di ‘Superfuzz Bigmuff’, il loro memorabile, fulminante Ep d’esordio del 1988; ci troviamo così ad ascoltare negli stessi giorni due dischi dei Mudhoney pubblicati a distanza di 20 anni, e notiamo che, per quanto il nuovo ‘The Lucky Ones’ segni un palese ritorno all’approccio garage punk tradizionale – se preferite, chiamiamolo grunge… – rispetto alle ultime più articolate pubblicazioni, ad ogni modo molte delle 11 nuove canzoni hanno un suono più dilatato ed articolato, leggermente meno frontale rispetto agli esordi, con il basso di Guy Maddison – che nel 1999 sostituì Matt Lukin – molto spesso autorevolmente in primo piano, non più sommerso dal feedback chitarristico di Steve Turner; al contrario, Mark Arm canta e urla come sempre, in preda a quel misto di euforia e rabbia che è stato tra le cose più belle dei ‘90. Sembra di sentire gli Stooges di Iggy Pop, a momenti, in un continuo ruotare di emozioni, in cui pure l’indolenza debosciata – tipo post sbronza, per intenderci… – ha il suo ruolo, e tanti sono gli episodi al limite del garage punk, come la conclusiva ‘New Meaning’, schiaffone veloce e secco, come sintetico è tutto il lavoro, del resto, nel complesso della durata di 36’20”; una novità è invece la strana invenzione freakbeat ‘The Shimmering Lights’, e l’uso sporadico del pianoforte, del resto però già utilizzato nei precedenti tre lavori degli anni 2000. I Mudhoney si mantengono dunque su livelli molto alti anche con quest’album, rivolgendosi nuovamente alle loro radici punk e grunge, mettendo da parte talune recenti ambizioni country e psichedeliche che pure avevano riscosso successo, in ‘Since we’ve Become Translucent’ del 2002, per una band che senz’altro non riproduce semplicemente se stessa all’infinito, ma che al contempo è cosciente di cosa sa fare meglio, e giustamente punta su quello. Sono tra i pochi gruppi grunge dei 90, assieme ai Meat Puppets, giunti ai giorni nostri in forma, molto avanti rispetto ai recenti, sbiaditi Pearl Jam, o ai recentemente riformati Smashing Pumpkins e Dinosaur jr.
Autore: Fausto Turi