C’è una cifra costante nella discografia dei The National, arrivati con questo Sleep Well Beast al sesto disco dall’esordio di inizio millennio. Questa cifra è l’intensità: la voce profonda, baritonale, emozionale di Matt Beringer, e le melodie disegnate dai fratelli Dessner (Aaron alla chitarra e piano, Bryce alla chitarra elettrica) sono fatte per emozionare, e a loro si inchinano le trame ritmiche di Scott Devendorf al basso e del fratello Bryan alla batteria.
I The National sono noti per essere un gruppo indie rock tutto sua specie: raramente li sentirai (e anche in questo ultimo disco accade poco) sfondare di ritmo, devastare di batteria o assoli. Matt e soci privilegiano le atmosfere soffuse, intrise di deserto americano, di texana bar, di strade polverose. Carin at the Liquor Store è in questo disco una canzone simbolo di questa cifra stilistica: le ballate che i cinque di Cincinnati sfornano potrebbero risultare pesanti, in fondo, se non ci fosse appunto questa grande, costante, perfetta intensità musicale che avvolge ogni loro pezzo e seduce l’ascoltatore. I The National non vanno per entusiasmo, vanno per emozione profonda, melodica, intrisa di malinconia: così l’esordio, più National che mai, con Nobody Else will Be There, così Sleep Well Beast, la significativa title track volutamente piazzata al termine del disco.
Disco che i fratelli Dessner ritengono il più bello della loro carriera. Noi diremo che è difficile scegliere, fra dischi sempre tutti belli e, va detto, un pochino tutti uguali. In questo disco per la verità i The National provano a innovare, introducendo batterie elettroniche e loop da sintetizzatore, I’ll Still Destroy You, o Walk it Back, o Empire Line, o il singolo The System Only Dreams in Total Darkness, (in assoluto la canzone più elettronica dei The National fin qui) rappresentano la svolta di questo disco, con loop di batteria e sintetizzatori che producono un sound che ricorda da vicino quello degli ultimi Editors. Ma in altri pezzi si lasciano andare a qualche momento più ritmico, come la stupenda Day I Die, che ricorda i toni epici di una vecchia splendida hit, Lit Up, o la sorprendente Turtleneck, suonata a velocità inusitate per le abitudini della band.
Ma per il resto il disco è pur sempre pianoforte (Born to Beg, Guilty Party) o ritmi lenti, come in Dark Side of the Gym, e in molte delle canzoni sopra citate.
Tuttavia è una lentezza densa, intrisa di melodia e di emozione, intensa appunto, come il sound specifico di questa band che ha saputo ritagliarsi uno stile unico e inconfondibile al primo ascolto, grazie anche alla voce baritonale di Matt, guadagnandosi posizioni di tutto rispetto nell’indie rock di terzo millennio. E Sleep Well Beast conferma il percorso ascendente ed evolutivo di questa band, forse un po’ monocorde ma sempre alla ricerca di onestà e genuinità musicale senza compromessi.
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autore: Francesco Postiglione