Letteralmente “changeling” è il bimbo sostituito (nel folklore inglese una credenza secondo cui fate rapiscono i figli belli per sostituirli con bambini brutti), nel film di Eastwood invece non c’è il margine acclarato tra bambino rapito e bambino ritrovato, accomunati da quasi tutto e disgiunti se non per pareri medici dettagliati, solo con i referti medici si scoraggia il lavorio fasullo della memoria che mette in dubbio la bontà del dubbio materno. Si è condotti e ingoiati nell’ossessione iperbolica di una mamma, senza però prestarle l’occhio da spettatore disinteressato ( non le si può dire “quel bambino non è il tuo”, la compartecipazione è già nel campo dell’ossessione, abbiamo i suoi stessi dubbi).
Furbescamente la scena in cui il dentista chiarifica e corrobora la tesi più ovvia ( cioè quella della sostituzione, per altro già esplicitata da un titolo praticamente incomprensibile per chi non abbia un dizionario alla mano) è posta dopo un turbinio di ripensamenti, rimesse a fuoco meramente mentali propiziate dai gabbamenti del dipartimento di polizia. L’ossessione inghiotte il senso di vendetta minandone le basi poiché senza morte certa dello scomparso nessuna ricompensa (morale, immorale o amorale) può essere richiesta.
Il piano dell’ingiustizia sociale, del social evil (come direbbe Fitz Lang), è secondario all’identificazione finale del bambino; che l’indagine sia disperata lo si capisce dalla voglia di ascoltare la confessione risolutiva dal pazzoide omicida di piccole vittime, soffocato da un panno nero prima di cadere penzoloni nell’aria tenuto per il collo da un cappio strozzante. Scena, quella della pena capitale, spogliata da prospettive di dibattito o letture politiche “forti”, montata e consegnata come un punto di sceneggiatura.
La messa a morte è, soprattutto, un atto di alimentazione dell’ossessione ora priva del suo antidoto, del suo iniziatore; intelligente l’interpretazione della Jolie che, afasicamente disperata in gran parte di tante scene, esplode con violenza aggredendo l’aggressore, lo psicopatico, quando deve sapere della morte del figlio: lo scatto di nervi è l’ulteriore conferma del tratto ossessivo della vicenda tutta costruita su una non-morte, una “scomparsa” sprovvista del senso ancipite di “smarrimento” e “dipartita” (solo la prima accezione è idonea).
Autore: Roberto Urbani