SECONDA PARTE. A due anni da “Stardust Memories” il cineasta newyorkese ritorna con “Una Commedia Sexy In una Notte di Mezza Estate”(1982) nel cui cast compare per la prima volta Mia Farrow, nuova compagna di allora. Allen inaugura gli anni Ottanta con un prodotto di discreta fattura, ma il riassestamento non permette a questa commedia di esulare dai toni modesti dietro a quali si nasconde. Fantastico invece, Zelig (1983), girato contemporaneamente alla Commedia Sexy. Impressiona la versatile vena creativa di Allen che in questo caso si veste di riferimenti sociologici, senza tralasciare il consueto afflato di comicità fuori dalle righe. La vicenda del camaleonte umano, interpretato da lui stesso, è al centro della narrazione che pende verso una marcata cadenza documentaristica, ennesimo marchio di fabbrica del genio di Manhattan. L’opera si avvale dell’imponente lavoro tecnico di Gordon Willis, maestro delle luci, commisto ad una forbita riflessione sull’uomo del dopoguerra e la sua spasmodica ricerca d’appartenenza. In questo lavoro confluiscono la (psic)analisi dell’individuo ed un’analisi lucida sulla collettività, dove impera l’anelito ad essere accettati.
“Broadway Danny Rose”, del 1984, non potrebbe che deludere al cospetto dell’illustre predecessore, ma riesce a trovare una sua compiutezza. Ne esce un film divertente che racconta l’ambiente degli stand-up comedian, nel quale pullulavano storie sugli agenti alla ricerca di fortuna. Lo spassoso “La Rosa Purpurea del Cairo” (1985) è un delizioso divertissement, ambientato nell’America della depressione. Allen stavolta ci porta per mano nei meandri di un paradosso cinefilo le cui esilaranti conseguenze fanno da contrappunto ad un’insolita storia d’amore.
“Hannah e le sue sorelle”(1986) invece rappresenta un altro traguardo per la produzione del regista. Un lungometraggio inaspettatamente corale, incentrato su storie molto composite ed intense. Allen pare marginalizzare il suo autobiografismo, mettendo in scena uno dei suoi film più europei (l’italiano Carlo di Palma rimpiazza Gordon Willis). La sua nuova prova registica si confronta con i grandi temi del suicidio, dell’insensatezza estrinseca della vita con tanto di citazione degli amati fratelli Marx. In stato di grazia si cimenta con “Radio Days”(1987), un gioiello dalle venature felliniane, che non conta nel cast Allen ma sono le sue memorie a pervadere tutto il film, ricostruite con la lente deformante della fantasia. Dopo un intermezzo di due film, “Settembre” e “Un’Altra Donna”, partecipa a “New York Stories” con un episodio dal titolo “Edipo Relitto”, divertito racconto dell’assurdo su una mamma oppressiva.
Ma è con “Crimini e Misfatti”(1989) che ritorna al lungometraggio. La sua nuova prova è un tripudio di drammaticità esplicitata, come al solito, con il sorriso sulle labbra. L’universo alleniano è sempre più impregnato di caso, tichismo e provvisorietà esistenziale: elementi che non inibiscono nè la sua ironia scardinante nè la sua mano ferma di autore maturo. Cambia registro con “Alice”(1990), limitandosi alle vesti di regista. Regala l’ennesima parte d’oro alla sua compagna Farrow rendendola protagonista di una commedia genuina, anche se non esente da alcuni difetti di sceneggiatura (ad esempio il finale spicciolo rispetto all’intreccio). Firma “Ombre e Nebbia” nel 1992, ma ritorna a livelli eccelsi con “Mariti e Mogli”. Bergmaniano ritratto delle storie coniugali di due coppie, è un capolavoro “instabile” in piena coerenza con la schizofrenica verve dei personaggi. Testardemente contrario all’uso della steady-cam, il film percorre la strada di un montaggio concitato e, a tratti, sperimentale. Di Palma regala un grigiore opprimente alla fotografia ed Allen ricambia con una ricercatezza contenutistica degna di un grande artista vicino al suo apice creativo. Di altri toni “Misterioso Omicidio a Manhattan”(1993), scintillante risultato di una sceneggiatura originale e di un respiro registico che propone soluzioni drammatiche a profusione. L’autore di “Io e Annie” è ritornato a duettare con Diane Keaton, nel ruolo di una moglie isterica con velleità da investigatrice domestica. Una tematica ricorrente (Arte e vita) della sua produzione ritorna con “Pallottole su Broadway”, geniale riflessione sul dono del talento e sui suoi destinatari.
Lo spassoso “La dea dell’amore”, pur con efficacia mitigata, riesce a sprigionare la fantasia eterogenea dell’autore, grazie a trovate di inconsueta comicità (un coro greco è utilizzato a mo’ di commento farsesco). Nel 1996 l’occhialuto del Flatbush firma “Tutti dicono I love You”, musical che prende il titolo da una celeberrima canzone interpretata da Groucho Marx. Anche quando si confronta con un genere così tipicamente americano, lo stile irrimediabilmente europeo fa deragliare la pellicola verso territori più vicini alle atmosfere del vecchio continente. Un altro lavoro di straordinaria riuscita “Harry a pezzi” (1997), è il racconto delle vicende di uno scrittore in crisi esistenziale che interseca realtà e finzione con il paradosso comico come collante narrativo.
Allen cala il tono delle sue prove con “Celebrity” (1998), spudorato affresco del mondo dello spettacolo e “Accordi e disaccordi”(1999) che non sembra convincere più di tanto, pur avvalendosi di un Sean Penn strepitoso e il solito ritmo da fantomatico documentario. Il regista, sulla soglia dei settanta anni, si cimenta nella commedia “Criminali da Strapazzo” con un piglio rilassato che lo fa arrivare ad un buon traguardo, senza strafare. Ma è con “La Maledizione dello Scorpione di Giada” che ritorna su altezze considerevoli di battute fulminanti, anche grazie ad una sfavillante Helen Hunt. Nel 2002 e 2003 propone rispettivamente “Hollywood Ending” e “Anything Else”, due modesti prodotti che risentono dell’eccessiva pervicacia con cui Allen difende la sue armi creative, per lo più mostrate in uno stato inevitabile di arrugginimento. “Melinda e Melinda” è l’ennesima prova che il suo schema drammatico necessita di una trasformazione radicale, soprattutto perchè la sua Manhattan è stata oramai visita e rivisitata da tutte le angolature. Allen infatti si sposta a Londra, con una voglia di novità inconcepibile fino a quache anno prima e si cimenta con “Match Point”, film interessante ma di un altro stampo. La caratterizzazione dell’opera è anni luce lontana dai film del regista fotografati da Di Palma (scomparso nel 2004), tutto l’apparato narrativo sembra estraneo ai suoi grandi capolavori. Lo stakanovista Allen è comunque di nuovo all’opera per “Scoop”, secondo film londinese girato nell’estate del 2005.
Autore: Roberto Urbani