Finalmente anche la chiacchierata Acuarela fa il suo ingresso su queste pagine (o qualcuno mi ha preceduto? boh!). C’è un tot di suggestioni, oltre ai fatti concreti, a nutrire curiosità per questa realtà indipendente spagnola. A cominciare dal nome, suadente, fino all’idea di quanto essa possa essere in grado di ritrarre (“acuarela”, appunto, è il nostro “acquerello”) il panorama indie al di là dei Pirenei. I fatti invece parlano della pubblicazione di dischi, oltre che di artisti locali (Migala su tutti), anche (in Spagna e Portogallo – “isole comprese”) di nomi di provenienza perlopiù americana (“Fabulous Muscles” degli Xiu Xiu la fattispecie più recente), senza dimenticare la tripla compilation dello scorso anno, col meglio di questa sezione “import” affiancata a musicisti indigeni.
E sono questi ultimi a segnare il debutto su queste pagine. Refree, nome d’arte con cui si firma Raul Fernandez, è un progetto che, lontano dalle dinamiche di quell’estemporaneità potenzialmente suggerita dalle attività di Fernandez (i cui dati anagrafici, oltre che sulle bollette, compaiono anche nella locale stampa musicale), utilizza l’idioma catalano per spiegare le vele di un pop romantico che costeggia, con sensibilità jazz, tutto l’arco mediterraneo di ponente. C’è un afflato ispanico (tiepido – che non pensiate a menate flamenco e affini) in “Nones”, ma anche le malinconiche nubi degli chansonnier transalpini e – ci vogliamo forse escludere? – le poesia di un Tenco, di un Conte (Paolo – ormai troppi con quel cognome in giro, meglio precisare), di un Capossela. Che ci garbano, decisamente, di più, devo dire. Eh, il giorno che il nostro staff si mette anche a far musica, son dolori per tutti, eh…
Madrileno invece il Grupo Salvaje (“mucchio selvaggio”, “wild bunch”, come il film di Peckinpah), che però, nell’ispirarsi dichiaratamente alla sobrietà del “man in black” Johnny Cash (il titolo dell’album, originariamente fissato in “Cash”, è più che eloquente, anche se per un attimo ho paventato qualche “cattiveria” metal estrema), abdica al castigliano per affidarsi a un inglese evidentemente più adeguato alle “white american roots”.
E hanno fatto un buon affare i Grupo Salvaje. Cash, abbiamo detto, ma c’è di più. Innanzitutto la voce di Ernesto Gonzalez (impegnato, nella passata decade, nei Pribata Idaho – altro film, stavolta è Gus Van Sant, da noi scelleratamente reso in “Belli e Dannati”), caldissima il più delle volte, ma capace anche di “gracchiare” sì da meglio evocare – in ‘How to Make God Come’ – il sempiterno Dylan. E siccome i Grupo Salvaje sono, appunto, una band, ecco spuntare, nei giorni nostri, le rustiche orchestrazioni dei Lambchop, o i crepuscolari slide e le sornione fischiettate dei Giant Sand (occhio che presto ritornano – indiscrezione!), per un risultato che sa coniugare intimità e solennità, e regalare un ascolto godibile, e attento.
Autore: Bob Villani