Festa grande alla Capitol/EMI: ci sono voluti anni, ma l’ex Beach Boys torna all’etichetta con la quale è iniziato il suo viaggio ormai quarant’anni fa. Per il suo nuovo album, That Lucky old Sun, Brian Wilson ha scelto di tornare alle origini, e non solo per quanto riguarda la casa discografica. Le 16 canzoni dell’album sono un autentico tuffo nel passato, in un luogo (il Sud California delle onde e dei surf) e in un tempo (gli anni ’60) che ormai non ci sono più. Brian Wilson lo sa bene, ma fa finta di non saperlo.
E questo rende sicuramente discutibile l’operazione complessiva: soprattutto quando si avvertono sbavature nella voce come in Good Kind of Love, o nell’inizio di Midnight’s Another Day, o una spiacevole piattezza di ritmo in molti altri pezzi (Forever my Surfer Girl o Going Home per esempio), e viene da chiedersi allora: c’era proprio bisogno di un altro album dei Beach Boys, a quarant’anni di distanza e con le dita del pianoforte e le corde vocali chiaramente invecchiate?
Risposta: no, non ce n’era bisogno. Ma per fortuna viviamo in un mondo abbastanza libero, e quindi diamo a Wilson la libertà di comporre e suonare ancora come vuole lui, alla sua maniera, uguale da quarant’anni, e magari qualche nostalgico amerà anche tuffarsi in atmosfere estive che gli ricorderanno la Summer of Love del ’64.
Perché, sia chiaro, scorrete le 16 tracks e non troverete altro che questo, cioè i vecchi e soliti Beach Boys, con molto meno rock’n’roll e più intersezione di cori e controcanti forse, come in Live let Live, ma con la stessa, esattamente la stessa estate fatta di girls & surfin’ in testa. Cosa che, per un musicista di oltre sessant’anni, che già al Live Eight del 2005 ha suscitato non poche perplessità per la sua esibizione, suona un po’ come testardaggine nostalgica. Ma per fortuna è una testardaggine che non fa male a nessuno, e che forse darà a qualche ascoltatore una sana e solida dose di malinconia.
Autore: Francesco Postiglione