La prospettiva dei protagonisti di Paolo Sorrentino, dall’Uomo in più, esordio sullo schermo, alle pagine del suo primo libro, “Hanno tutti ragione”
I personaggi del cilindro di Sorrentino sono troppo esperti e navigati. Hanno visto di tutto e sanno molte cose. Cantano canzoni, fanno prestiti e coltivano misteri conditi di piccoli segreti. Attraversano la natura degli altri umani con uno sguardo distante, singolare, partendo da una cima che li vuole ben oltre il campionario che li circonda. Così era Titta De Girolamo, il protagonista in esilio delle Conseguenze dell’amore, così L’usuraio Geremia, il Divo, e così anche Tony Pisapia, l’uomo in più.
A ognuno un vezzo tipico, un gianduiotto, una dose di eroina il mercoledì alle cinque, uno sberleffo pirandelliano. Solitamente aleggia dietro queste facce un atteggiamento da voyeur della vita, che magari sa cucinare il pesce e sbruffoneggia a vari gradi di silenzio. La questione attraversa tutta la poetica di un regista napoletano mezzo snob, abilissimo a incarnare certi tipici vizi popolari con la grazia di Maradona che palleggia con un limone. La credibilità di queste figure, così simpatiche e ineluttabili, deboli e sole, risiede nel fatto che questi in realtà fingono di conoscere tutto, e lo fanno talmente bene da prevedere con fatalismo partenopeo il proprio finale senza risultare patetici. C’è un fondo di mare inevitabile negli occhi di ogni grandioso antieroe sparso nelle pellicole di Sorrentino. Così capita che Servillo venga calato pian piano nella calce, affondi in una partita di carte dietro le sbarre o resti impassibile nella sua maschera andreottiana, pienamente padrone del suo destino, comunque, fino in fondo.
L’attore feticcio in questi casi è il vero alter ego del suo animatore, che regge il gioco mentre le immagini potentissime si esasperano esplodendo in visioni e artifici. Le macchine di un attentato sembrano uscire dallo schermo, ballerine prendono i sogni su fondo nero, strani esseri fanno capolino tra le scene. Tutto si anima di sintomi psichedelici e colorati, pronti a stupire: la materia del cinema si regge sulle accurate costruzioni delle maschere. Un pizzico di eccesso di Felliniana memoria, un lancio nel buio immaginario da colorare e la statura intoccabile della solitudine che guarda. Perché le vite alle spalle di questi uomini sono i veri fondali che riempiono gli spazi, densi di ricordi, ben attenti a non alimentare rimpianti ma fatti per incuriosire e catturare poco per volta. La regola del vedo non vedo montata su caratteri singolari, carismatici e densi di estro sud, qualità superiore. Se sono falliti è per assenza di comprensione e bassi dosaggi di “ciorta”, questi animali ideali che hanno infinite storie e amori. Il libro appena uscito, caldo di stampa , forza sull’io narrante molto più che sullo schermo, con la paradossale liberà dell’immaginazione chiusa nella parola scritta.
Tony Pisapia, dall’esordio sullo schermo, è la nuce che negli anni si è fatta mallo e narrazione, diventando l’eccessivo e ancor più maturo Tony Pagoda, che spalanca definitivamente gli abissi con le infinite strade di un buio da colorare. Pagoda passeggia da solo all’alba di Napoli, rimette in circolo le formazioni di fanciullo, rievoca giganti e maestri aspirando un mondo vasto e colorato, sceglie destini con olimpionica calma. La pace di chi sa. Sono pagine forti, di parabole sulle donne, risa leggere e divagazioni. Strisce di vizio a coca bianca. Carta e parole, a volte d’eccesso, zeppe di toni nostalgici e mitologici, di decisioni e lucidità. Quante regole assolute e irrinunciabili ha Tony Pagoda, quante canzoni e quante donne possedute, quante strade e personaggi da galleria. “Sembravano fuochi – soleva dire la madre di Tony – ma erano miccette che facevano fetecchia”. Tutta la solitudine del mondo è chiusa nei fallimenti di ognuno di noi, nel sogno che ci resta appiccicato addosso, fino alla fine. A ciascuno la sua Beatrice personale, la sua donna altra e ideale, come luna caprese. Perché Sorrentino lo sa bene. Lo ha imparato dalla madre che glielo ripeteva sempre. Ne ha fatto un titolo e una storia, per voce sola. “Hanno tutti ragione”.
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore