Decostruire musica. Un lavoro a cui non pochi si prestano con l’evolversi delle forme musicali, e soprattutto con il progressivo sfruttamento di quelle esistenti. Basta però rimetterla a posto, anche se diversamente dall’assetto di origine. I Sinistri no, questa seconda fase la omettono, e volutamente.
Sinistri? Italiani? Ma sì, gli ex-Starfuckers che hanno cambiato nome mettendosi quello del debut album di 10 anni fa. E che si sono accasati presso un’etichetta svedese, dopo i trascorsi americani in Drunken Fish e Dbk Works (si vaga nel buio pesto, eh?).
Torniamo al primo capoverso. Eliminato il rimontaggio dei pezzi, restano le ipotesi di musica concreta (utilizzo di non-strumenti) e ricerca timbrica (Naked City, siete pratici?). Però niente, ancora non ci siamo. Anzi, ci siamo quasi. Nel senso che la dinamica del Sinistri-sound ricorda molto della concrete musicque, però in ballo ci sono delle comunissime chitarra e batteria (più una manciata di electronics). E l’obiettivo, come nella seconda delle residue ipotesi prospettate (scusate questo approccio “ad esclusione”, ma è un modo efficare di far luce) è andare alla radice di qualcosa. Non dei suoni in sé, però, ma dei famigerati “generi musicali”, che, per definizione, portano con sé un determinato, e variabile, carico di espressività.
In sostanza: i suoni (di vaga matrice funk e blues, in specie) sono lì, ma spogliati di metrica e sincronia, sì da risalire le tappe della loro genesi compositiva e addivenire ad un sound estremamente fratturato, che parte e si ferma subito, tira e molla la presa, imposta una direzione ma la perde, volutamente, subito. Un sound nervoso, ma anche, cazzarola, snervante. Dopo il primo brano – primi due, va’ – si capisce che un punto di “sensibile” compimento non lo vedremo. Ecco, ciò che manca è la percezione di una finalizzazione: per quanto oscura possa essere, un Iriondo e suoi affiliati la lasciano intravedere – ed è ciò che può renderla apprezzabile. “Free Pulse” è invece esasperazione dell’ermetismo. Non-musica, dichiaratamente. Forse anche non-senso.
Autore: Roberto Villani