Te la immagini la gente che defluisce dal cinema nel marzo del ‘70 dopo aver visto “Indagine” di Elio Petri? In mente gli anni Settanta durante il principio degli anni Settanta, e un Gian Maria Volontà Padreterno. E poi un gomitolo di dubbi che resta. Chi sono i buoni, chi i malamente? Stesso piano sequenza anche oggi ma differenti le modalità d’uso: dopo “Romanzo Criminale” di Placido, tratto dal libro dell’ex magistrato De Cataldo (che partecipa alla sceneggiatura del film), facce fuoriescono dalla sala un po’ atarassiche, all’erta più per il sangue a fiotti che per la nicchia storica di cui hanno appena avuto un riassunto. Gli anni Settanta (e Ottanta) restano laggiù, romanzati perché messi nella bacheca dei trofei a prendere polvere dal nuovo millennio.
Anche De Cataldo, dal suo gradino leggermente più altro degli altri, e, in rimonta, Michele “eroe borghese” Placido vogliono dettare la loro porca dietrologia. Hanno perciò lanciato un sasso: i servizi segreti deviati erano il Mangiafuoco, guidati a mantenere lo status quo da mangiafuochi più grossi e gradassi di loro. La banda della Magliana non appena esce dal seminato di puttane e rolls royce viene presa per il colletto e messa sulla pista che glie pare a loro, a quelli là, all’altrostato. Tesi di laurea non eccessivamente originale ma ci fai un film. Il sasso non ha colpito comunque le coscienze dei “giovani” spettatori, attese dalle scadenze dei contratti a termine e quindi poco propense a speculare troppo a lungo sui burattinai. La pietra si è infranta però sul vetro del botteghino, perché ha sortito un minimo di brivido caldo nella pancia del cinema italiano malato di cuore.
I criminali sparano e non c’è un attimo di tregua. Anche se: conquistare Roma in mezza giornata sembra presuntuosello – il Padrino a far la pelle ai capocosca ci mise un po’ di più -, e la entreneuse che tappa la bocca ad un ipotetico Stefano Accorsi (un’ipotesi, appunto, più che un attore di cinema) lecca fuorvianti brandelli di pulp di flanella. La verosimiglianza, che pure si richiederebbe, non è il forte della pellicola, e questo, si sa, ha fatto di parecchio arrabbiare Roberto Silvestri su il Manifesto che si è scornato con mezzo mondo, in primis con Carlo Lucarelli, cicciotto anchorman del brivido.
Però Pierfrancesco Favino che fa la parte del Libano giganteggia; pare vero, in ogni istante di collera e zoppìa. Inoltre, due ore e mezza senza neanche una palpebra calata, e persino con qualche sussulto tipo “vediamo com’è che va a finire” mica è poco. (Certo ai killer si conferisce un sussiego da eroi. Sono quindi “modelli sbagliati”. Perciò il Codacons va alla carica, nonostante la risposta sacripante “Gli imperatori no”, in risposta alla domanda “Da che mondo e mondo i debiti si pagano” pronunciata dal Libano prima delle cesaree nove coltellate).
Autore: di Sandro Chetta