Partendo da ‘Obscured by Clouds’, bella ma misantropica e pessimista colonna sonora dei Pink Floyd del 1972, credo possiate avere un valido riferimento per comprendere il principale modello formale cui si ispirano i californiani Radar Bros., immutabilmente concentrati da ormai più di 10 anni e 5 dischi sull’esplorazione psichedelica dei grandi spazi: siano essi il cielo stellato, il mare o l’animo umano. Seppure con una differenza cruciale rispetto ai Pink Floyd: al pessimismo cosmico di Roger Waters, che giungeva al punto di mettersi a nudo parlando del proprio padre morto in guerra e trasformando così la musica in autoanalisi, alla sua misantropia, alla diffidenza verso il genere umano e verso la perdita dell’innocenza nell’età adulta, i Radar Bros. sostituiscono una malinconia postadolescenziale (comunque da non sottovalutare…) per qualcosa che avrebbe dovuto esserci ma che purtroppo ancora non c’è stato… “sometimes, very soon, I’m gonna be laughing, and you’re gonna be thinking of me…”, in ‘Sometimes, awhile Ago’.
Come sempre arpeggi elettrificati rallentati e carichi di effetti (splendidi, in ‘Dark Road Window’ e ‘Breathing Again’), pomposa ed enfatica batteria fissa sul tempo 4/4, cantato nostalgico qualche volta ‘sydbarrettiano’ (‘Faces of the Damned’) con coretti a più voci, pianoforte sbarazzino tra il Paul McCartney di Sgt.Pepper (‘Like an Ant Floating in Milk’, ‘Government Land’) ed il Richard Wright di Darkside of the Moon (‘Show Yourself’, ‘We’re not Sleeping’), persino qualche tenue inserto d’orchestra (‘Sometimes, Awhile Ago’) sono gli ingredienti per una psichedelia matura, non impasticcata, vintage, cullante, semiacustica, agreste, che pur con le debite proporzioni mantiene il terzetto all’inseguimento di dEUS, Mercury Rev e Warlocks, ma purtroppo con meno soluzioni espressive dalla loro parte.
Ma è senz’altro una scelta, non si tratta affatto di limiti tecnici o creativi: semplicemente i Radar Bros. si dedicano all’approfondimento di certe atmosfere, e non vogliono smuoversi di un millimetro dall’occhio del ciclone in cui si sono collocati (approposito: l’anno scorso proprio un uragano californiano pare si sia portato via mezzo Skylab Phase III, lo studio d’incisione della band, ma questo “The Fallen Leaf Pages” è talmente placido che l’episodio, evidentemente, non ha dato una grande scossa emotiva al gruppo…).
Autore: Fausto Turi