Sentivamo la mancanza degli Heza? Sentivamo la mancanza di una band di casa nostra che canta in italiano guardando con nostalgia alla stagione grunge? Sentivamo la mancanza di questi cinque ragazzi veneti cresciuti con le cuffie ben calcate in testa, “Superunknown” dei Soundgarden nell’orecchia destra e “Germi” degli Afterhours nell’orecchia sinistra?
Un po’ Alice in Chains e un po’ Estra, un po’ Afghan Whigs e un po’ Marlene Kuntz, gli Heza ce la mettono davvero tutta per far sì che tali domande ricevano risposta positiva: qualche spunto interessante (la voce filtrata che spezza il ritmo di “Eterno” ad esempio), un’ottima produzione (del resto dietro il banco di regia c’è un certo David Lenci, non uno qualsiasi) e tanta apprezzabile grinta. Ma non basta, perché la sensazione di “già sentito” è sempre là dietro l’angolo e, ci tengo a precisarlo, la cosa non sarebbe necessariamente un male se almeno alla fine dell’ascolto restassero le “canzoni”. E purtroppo, tra momenti riflessivi e sussulti enfatici, il difetto principale di “Natura contraria” è proprio la mancanza di brani che siano capaci di invogliare l’indice a premere insistentemente il tasto play.
Agli estremi opposti troviamo in negativo l’insopportabile “Una seconda vergine occasione”, che la voce del cantante Marco Ragni tenta affannosamente di tenere in piedi, e in positivo “Niente da perdere” e “Come virus”, due episodi in cui gli Heza riescono con buona immediatezza a toccare le corde giuste. In mezzo una più che dignitosa “medietà”. Ancora poco per poter affermare che gli Heza sono un gruppo di cui sentivamo la mancanza.
Autore: Guido Ganbacorta