Tra i gruppi che stanno impreziosendo il rinnovato interesse mondiale per la scena rock australiana contemporanea, i CIVIC hanno finora incarnato meglio di chiunque altro, lo spirito dei prime movers degli anni Settanta Radio Birdman e The Saints.
Il quartetto di Naarm/Melbourne nei suoi primi lavori discografici, gli EP’s “New Vietnam” e “Those Who No” del 2018 e gli album “Future Forecast” (2012) e “Taken By Force” (2023), quest’ultimo prodotto dal vocalist dei Birdman Rob Younger, ha scelto proprio di riempire quella casella di suoni per meglio incanalare la loro indole e differenziarsi dalla gran parte dei gruppi della scena punk. Una scelta che ha dato loro pienamente ragione, proponendoli all’interesse internazionale, come gli eredi più credibili dei mostri sacri citati.
Giunti al terzo album Jim Mc Cullough e soci hanno avvertito l’esigenza di portare la loro musica ad uno step successivo per esplorare nuovi modelli espressivi, pur non rinnegando le loro radici e le influenze che sono servite per affermarsi. L’idea nasce, come ha riassunto in una recente intervista il chitarrista Lewis Hodgson: “Ci siamo sempre attenuti alle regole, facendo punk rock australiano come si deve. Ma dopo aver girato il mondo, abbiamo capito che si può davvero suonare quello che si vuole”.
Il risultato è Chrome Dipped (ATO Records) un disco realmente diverso dai precedenti che esplora i temi della perdita e del dolore in seguito alla morte della madre del frontman Jim McCullough, oltre a una più ampia riflessione esistenziale. Un album che parla di come liberarsi dei vecchi gusci, sia musicalmente che emotivamente, e di come trovare un significato nella confusione dell’evoluzione.
Il primo passo da compiere in questa svolta è stato quello di affidarsi alla produzione di Kirin J Callinan che, insieme all’ingegnere del suono Chris Townend hanno condotto il gruppo verso un suono un po’ più levigato ma decisamente aperto a nuove prospettive che si sono perfettamente adattate alla scrittura delle canzoni presenti in “Chrome Dipped”.
L’album si apre con il singolo “The Fool” una marcia funebre nichilista sui sognatori e gli idioti. Una canzone punk che vuole fare da ponte con il passato e trasportare i Civic dagli anni Settanta ai Novanta, quasi bypassando del tutto gli anni Ottanta, ma rivestendo il tutto con una precisa idea di modernità che si lega alla perfezione con i suoni dei giorni nostri.
La title track dell’album sembra essere uscita dal catalogo di migliori Dinosaur Jr. tanto che se si ascoltasse il brano ad occhi chiusi senza saperne nulla, si farebbe fatica a coglierne le differenze, tanto il modo di cantare di Mc Cullough è simile a quello di J. Mascis, mentre il drumming di Eli Sthapit e il basso di Roland Hlavka sorreggono la chitarra di Hodgson che doppia la voce proprio come fa Lou Barlow nel trio di Amherst.
Ma il primo punto di svolta di Chrome Dipped si svela nel brano “Gulls Way”, uno dei due brani, l’altro è “Amissus” (dal latino perdita)serviti al frontman per elaborare la scomparsa della madre e considerare le questioni della vita e della morte. Un brano lento, più melodico e trasudante di atmosfera, che ci fa capire come i Civic abbiano permesso a questa canzone, vero pezzo forte del disco, di respirare, di avere lo spazio per essere ciò che doveva essere. Profondamente personale, è brutalmente onesta e la sua vibrazione cruda permane a lungo dopo la fine della canzone, conclusa sulla ripetizione delle parole “All my love”.
A seguire tocca al brano “The Hogg” a scacciare la malinconia e tornare a spingere sull’acceleratore e con atmosfere che richiamano alla mente i Pixies, il gruppo si lancia in un’invettiva sul ruolo delle macchine nel mondo. “Starting Al The Dogs Off” è un altro brano che rompe decisamente con il songwriting del passato. È una canzone che prende direzioni inaspettate. Quasi gotica e vivida, con il canto che diventa voce parlata in alcune parti, la strumentazione traballa sull’orlo del caos. “Trick Pony” pur essendo un brano molto più spinto ne ricalca le atmosfere in un finale inaspettato.
Il furore punk ritorna nel finale con “Poison” e “Fragrant Rice” che si faranno amare alla follia dai fans della prima ora. Nella prima sembra di sentire l’incipit di “Pleasure Seeker” dei Social Distortion spinta alla velocità della luce, mentre la seconda mantiene un ritmo altrettanto frenetico che si consuma brevemente come ogni canzone punk che si rispetti.
Prima di chiudere l’album c’è tempo per l’ennesima sorpresa. “Kingdom Come” parte acustica ma dura poco articolandosi in atmosfere diverse pur essendo una ballata per un “un tossicodipendente funzionale”, ispirata dalle azioni e dalle storie di alcuni amici, in questo brano si cerca di dare un senso al mondo che ci circonda. “Swing Of The Noose” conclude l’album con un ritmo incalzante, serrato e incisivo per chiudere Chrome Dipped in bellezza.
In definitiva, possiamo dire che Chrome Dipped è il perfetto punto di congiunzione tra il passato ed il futuro dei Civic, rivelando un punto di crescita della scena australiana.
“Chrome Dipped è la dichiarazione di come sentiamo che avremmo dovuto fare tutto questo fin dal primo giorno”, ammette McCullough. E non si può che dargli ragione, purché non rinneghino totalmente quanto di buono fatto in passato.
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