La band del nato partenopeo e ora siciliano d’adozione Paolo Messere (testi e voce, chitarre, elettronica e campionamenti, basso) che qui si avvale di Matteo Anelli (batteria ed elettronica) mette a segno un altro piccolo grande capolavoro per la sua storica etichetta Seahorse Recordings, che va a registrarsi nella storia, non troppo nutrita ahimé, dell’Indie Alternative e dell’Elettro-rock all’italiana.
Va detto che non è propriamente esatto definire i Blessed Child Opera come musica italiana: i BCO da sempre scrivono e cantano in inglese, e da sempre sono ispirati all’elettronica e al post rock nord-europeo. In questo sesto disco, in verità, la contaminazione con le atmosfere sud-mediterranee e specificamente arabe si fanno sentire, creando un mix curioso e originale fra suoni e melodie tipicamente nord-europee e tradizioni sonore propriamente sicule. Del resto Paolo Messere non è affatto nuovo a contaminazioni: da quando nel 2001 ha fondato i BCO, sulla scia delle sue precedenti esperienze musicali, prima come cantante/chitarrista della noise band Silken Barb (un album che riscuote ottimi consensi dalla critica e un importante riconoscimento nel libro “Post Rock” di Eddy Cilia e Stefano Isidoro Bianchi), poi come chitarrista e tastierista per la rinomata band francese Ulan Bator, ha sempre cercato un sound suo proprio facendolo nascere da contaminazioni di genere. Se il primo disco (sotto la supervisione artistica di Amaury Cambuzat di Ulan Bator), si tinge di un certo folk dalle venature dark-wave, il successivo mostra furore post-rock, mentre il terzo Happy Ark ha per esempio sfumature notturne.
Siamo ormai con Red Flags al decimo disco, dopo una pausa di ben 6 anni da Love Songs/Complications. del 2018 e Liars del 2019, sebbene nell’intermezzo Messere abbia composto scritto e pubblicato con altri due progetti quali Ostara’s Bless e Big Self, e quindi non sia mai stato creativamente fermo. Ma Red Flags segna un ritorno trionfale al sound tipico dei BCO, marcato anche dall’etichetta Seahorse fedele produttrice di tutti i dischi targati BCO anche perché da lui stesso fondata.
Si comincia con tempeste di archi per il primo pezzo tutto strumentale Love Codex, in cui le atmosfere nordiche da brughiera scozzese sono ampiamente evocate, ma già con He’s living a war alone, si mette in piedi il motivo tipico del disco, quella contaminazione fra arabeggiante-orientale e alternative-rock epico. Punitve Silence ha un ritmo di batteria lento-andante e arrangiamenti onirici tipici da post-rock, ma anche qui fa capolino un coro femminile tipicamente orientaleggiante. Lo stesso ritorna, sin dalle prime note, in I will fall back into you again, anche se il pezzo è tipicamente dark-wave con chitarre fortemente ecoizzate. Always alone (you remain), uno dei capolavori del disco, accelera improvvisamente i ritmi che fino ad ora erano da lento, e segue questa scia ritmica Capital Punishment, pezzo fortemente cupo, tutto sostenuto dalla batteria e da un cantato ipnotico quanto mai di Messere. Oblivion, che è anche il primo singolo, rallenta il ritmo e ritorna allo stile più tipico dei Blessed, quello della ballata andante di tono epico-onirico, che è praticamente un marchio di fabbrica della band sin dagli esordi. Qui però si registrano cambiameti di ritmo, e riff di chitarra decisamente suadenti e ipnotici, che ricordano i pezzi più ispirati dei primi Cure.
Man mano che procede il disco, le citazioni orientaleggianti lasciano sempre più posto a quello che è il cuore da sempre dell’ispirazione di Messere ovvero il dark new wave dei primi anni ’80: Old Stains rivela forse più di ogni altro pezzo del disco questa appartenenza di stile.
Ma proprio quando il disco sembra prendere questa piega, ecco di nuovo i cori femminili orientali, e gli strumenti a corda tipicamente mediterranei, in Trembling Stars, la più etnica e contaminata tra le tracce del disco. Decisamente gitana è anche l’entrata e la struttura di Cursed the Day, e tale rimane, anche se più mascherata, la struttura di You can relate to joy without feeling guilty, altro momento altissimo del disco per l’andamento in crescendo e fortemente drammatico.
A Faint Memory chiude con il suo sound onirico e pieno di ricchi arrangiamenti e sfumature un disco bellissimo, complessissimo, realizzato tutto giocando sull’aggiungere arrangiamenti, strumenti, tastiere, effetti, a quelli che sono i riff di base delle canzoni, ma anche la ritmica è sempre molto studiata e complessa, e non sono infrequenti (come per esempio proprio qui nella canzone di chiusura) cambi di ritmo e velocità.
Il disco non è esente del tutto da qualche momento in cui tutta questa tecnica e inventiva si fa manierismo, e un difetto già sentito nei Blessed emerge ogni tanto anche qui ed è la freddezza impeccabile della produzione e degli arrangiamenti. Nonostante gli ampi richiami al sud medterraneo, si avverte poco calore nella musica di Red Flags e anzi molto più buio, notte, toni cupi, canti drammatici e disperati.
Red Flags resta comunque un disco bellissimo, evolutivo e contemporaneamente stilisticamente ben saldo nella discografia ormai copiosa dei BCO, e ne rappresenta il migliore ritorno possibile dopo 6 anni di (quasi) assenza
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