Andare ad un concerto dei Motorpsycho è, per il sottoscritto, un appuntamento imprescindibile come l’acquisto in pre-order di ogni loro uscita discografica. Come sempre l’evento comporta un viaggio di centinaia e centinaia di kilometri che non pesano sapendo che anche stavolta assisterò ad un concerto diverso dagli altri, sia per setlist sempre diverse che per le atmosfere che si susseguiranno nel paio d’ore trascorse insieme a musicisti che “non sono i migliori in quello che fanno, sono gli unici che fanno quello che fanno”.
La data romana era anche stavolta fissata all’Orion di Ciampino, location piuttosto disagiata e dall’acustica abbastanza deficitaria, che ha scoraggiato i più a venire, tanto che si è trattato di un concerto per pochi intimi e tutti realmente devoti al culto dei Motorpsycho. Purtroppo alla pessima acustica stavolta si sono sommati una serie di problemi tecnici che hanno penalizzato la formazione norvegese soprattutto nelle parti vocali e nei contributi decisivi di Reine Fiske alla chitarra e tastiere che insieme al batterista Tomas Järmyr accompagnano in questo “Comeback Tour” il duo Ryan/Sæther. Una situazione davvero frustrante per i musicisti sul palco, percepita benissimo anche dal pubblico in sala che non ha comunque smesso mai di incitare il gruppo.
I Motorpsycho stanno portando in tour il loro recente album omonimo, pubblicato pochi mesi fa, insieme a una selezione di brani pescati nella loro corposissima discografia. E quanto siano da sempre un gruppo libero da ogni condizionamento, lo dimostra la torrenziale sequenza d’apertura partita con una dilatatissima versione di “Lacuna/Sunrise” portata dai dieci minuti della versione su disco ai venti eseguita in questa occasione, per poi passare a due brani del nuovo album “Three Frightened Monkeys” e “Lucifer (Bringer of Light)” inframezzati da “This Is Your Captain” dal precedente “Neigh!!”. Quattro brani eseguiti senza soluzione di continuità in un flusso sonoro dove hard rock, psichedelia e divagazioni prog introducono gli spettatori nel culto laico dei Motorpsycho.
Pur avendo iniziato a frequentare dischi e concerti dei Motorpsycho dai lontanissimi anni Novanta, sarei portato a non stupirmi di nulla, eppure la concettualità sonica che Bent Sæther e Hans Magnus “Snah” Ryan, mette sempre in rilievo aspetti nascosti del loro essere, oltre che musicisti particolarmente dotati e prolifici, dei sinceri appassionati divulgatori del rock.
Il concerto, nonostante i problemi tecnici di cui si è parlato e che hanno portato il gruppo norvegese ad esprimere la propria frustrazione sui loro canali social con un messaggio inequivocabile che recita: “Beh, interessante. Dal sublime alla merda in due ore. E poi di nuovo a qualcosa che almeno fosse decente (speriamo!). Queste cose succedono quando cammini sul filo del rasoio musicale a 104 dB. Diamo la colpa all’affaticamento delle orecchie, alla febbre e alla luna piena, e chiediamo perdono agli dei del rock”, ha vissuto momenti di grande intensità sia nella breve parentesi acustica in cui sono state eseguite “Patterns” e una gran bella versione di “Sunchild” a metà fra quelle pubblicate sia in quella elettrica presente in “Demon Box” che in quella country e western presente su “Tussler”, e sia quando ha proposto un paio dei loro singoli più celebri come “Starmel/Lovelight” e “Sinful, wind-borne” che hanno gratificato oltre misura i presenti, mentre in questa data romana non hanno eseguito nessuno di quelli tratti dal loro lavoro più recente.
I problemi tecnici hanno anche ridotto la durata del canonico bis limitato alla oramai classica torrenziale versione di Mountain che come sempre unisce gli albori della band al loro sempre attuale stato di grazia, lasciando al pubblico presente la sensazione di non avere comunque sprecato tempo e denaro per assistere a due ore e mezza di grande rock nonostante tutto.
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