Il lungo letargo è finito. Dopo sei anni di assenza dai palchi, i Grizzly Bear hanno scelto la loro casa, Brooklyn, per un ritorno che sa di rinascita. Lo scorso 13 ottobre il quartetto ha riaperto il proprio capitolo live, il primo da quel lontano 2019 in cui annunciarono una pausa, lasciando un vuoto nella scena indie/alternative.
A quanto pare i ritorni, dopo le pause, a volte servono a ritrovare non solo se stessi, ma anche la strada per casa.
Per il batterista Christopher Bear, il bassista Chris Taylor, il chitarrista e voce Daniel Rossen e tastierista e voce Edward Droste non è stato un semplice concerto, ma una promessa mantenuta. Quella fatta a se stessi e a un pubblico che non li ha mai dimenticati, nonostante i percorsi solisti e le vite parallele. Dopo i vagiti del ritorno annunciati a maggio con un tour autunnale, le porte di Brooklyn Steel si sono spalancate su un evento che era attesa pura.
E la band non ha deluso. La scaletta non è stata una semplice successione di hit, ma un viaggio archeologico nella loro anima musicale con brani iconici come ‘Will Calls’ (datata 2013), ‘Alligator’, tratta dall’ancora acerbo ma visionario album d’esordio ‘Horn Of Plenty’ (2004) e altre perle come ‘Little Brother’ (2006) sono state riesumate dopo un decennio di oblio, e ‘Deep Sea Diver’ ha visto forse la sua prima performance dal 2005.
Ma classici come la malinconica di ‘Two Weeks’, i paesaggi sonori di ‘Yet Again’ e l’ossessione ritmica di ‘Mourning Sound’ hanno ricordato a tutti perché i Grizzly Bear sono stati, e sono, dei maestri nell’intrecciare complessità e melodie che restano sospese nell’aria.
La band continua la sua residence a NYC fino al18 con ospite Victoria Legrand dei Beach House; dopodichè dall’8 novembre farà concerti a Chicago, Los Angeles, San Francisco e Oakland.
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