Di Bahban Ghobadi, con Hamed Behdad, Ashkan Koohzad, Negar Shaghaghi
No brigadiè, le frustate no. Mi dispiace, ma fanno due milioni di multa e 75 frustate. No, brigadièèè, facciamo 30. Ok, posso scendere a 50 nerbate. Sapete il perché di questa dantesca punizione? Il tizio sotto torchio nella centrale di polizia osa suonare indie rock, la musica che non si può, contraria alla morale e allo spirito dei tempi cadenzato dalle sopracciglia degli ayatollah. Il brigadiere l’abbiamo inventato ma le multe e le frustate sono vere in Iran. E’ quanto prova a spiegare Bahban Ghobadi
col suo “I gatti persiani” che assomiglia più a un documentario verità della terza rete che a un film di fiction. Guardate come stiamo combinati, sembrano dire al mondo attori e regista.
Eppure, oh, siamo lontani dalla terra dei talebani. Teheran non è Kabul. La capitale iraniana studia i colori dell’occidente consumista e beatamente fermo al semaforo. I ragazzi girano sulle Suzuki anni 80 ritoccate e le donne passeggiano velate sì, ma sotto l’hijab scorre rimmel, schizza l’eyeliner e troneggia il fondotinta. Girano curatissime, altro che Viaggio a Kandahar. L’effetto che ne deriva è spaesante. A chiedere libertà – per una volta usiamo questo termine scevro da zavorre retoriche – sono giovani emancipati, non masanielli scesi dalle montagne. Eppure, di contro, hanno addosso il ringhio feroce della teocrazia. La messa in scena del film appare piatta ma, in compenso, le situazioni che si raccontano sono talmente borderline per un borghese occhio occidentale che la normalità del vivere quotidiano degenera presto in allucinazione.
Non può essere che ci voglia un “pass” governativo per suonare le cover degli Iron Maiden o il rap: ci rifiutiamo di crederlo, invece è così. Non si può essere costretti a provare i pezzi nascosti nelle stalle con le vacche oppure attendere ore e ore che il vicino di ballatoio esca di casa sennò alla prima nota chiama la polizia. Invece è così. Film tratto, è specificato in testa, da storie vere, con finale inevitabilmente drammatico. Un epilogo che mutua la tragedia dei teenager vessati e “suicidi” di Persepolis di Marjane Satrapi. La libertà ha i nostri occhi, scrivevano sui muri gli anarchici italiani. Da oggi ha anche gli occhiali fucsia dei giovani rocker di Teheran.
Autore: Alessandro Chetta