Giunti al decimo album di una carriera che, partita nel 1998, ha attraversato gli ultimi decenni, i My Morning Jackets tornano sotto i riflettori per consolidare una posizione nel rock più mainstream, conquistata con dischi di pregevole fattura come “At Dawn” (2001), “It Still Moves” (2003) e “Evil Urges” (2008) che gli valse anche una prestigiosa candidatura agli Emmy Awards come “miglior disco di rock alternativo” de quell’anno.
Dischi nei quali hanno saputo far confluire tutte le loro influenze più disparate che vanno dal southern rock, al country, dallo psych rock all’R&B e al funky, che hanno pian piano portato la band ad inserirsi nel filone del soft rock moderno dove tutte queste differenti sonorità, riescono ad amalgamarsi in dischi come l’appena pubblicato “Is”.
La novità sostanziale di questo nuovo lavoro è rappresentata dal fatto che il quintetto di Lousiville, capitanato da James Olliges, ha affidato la produzione dell’album al famosissimo BrendanO’Brien (Springsteen, Peal Jam,Phis, RATM ecc.) con il risultato che, pensiamo voluto, le dieci canzoni di “Is” trovino il riscontro del grande pubblico ma scivolino via senza infamia e senza lode.
La sensazione di album incompiuto è quella che resta dopo i ripetuti ascolti di canzoni che sul momento appaiono interessanti, ma che una volta terminate si fatica a ricordare. Le canzoni sono destinate a comunicare “un senso di presenza nel presente”, come Olliges ha descritto il titolo dell’album in un comunicato stampa.
“Speriamo che queste canzoni siano utili alle persone e che diano loro una sorta di pace mentre cercano di affrontare la follia del mondo”, ha ribadito Olliges. “Perché è questo che la musica fa per me”.
O’Brien non stravolge neanche la classica stravagante ecletticità che si trova quasi sempre in ogni album dei My Morning Jackets, tanto che in “Is” si possono trovare gli echi della Motown in “I Can Hear Your Love”, o tracce di disco-rock in “Die for It”, atmosfere psycho-soul in “Half a Lifetime”, l’epicità chitarristica in “Beginning from the Ending”, e perfino il misticismo country-gotico di “River Road”.
Tutte canzoni ben confezionate che faranno la felicità dei fans di vecchia data, oppure di quanti cercano in un disco rock, canzoni poco disturbanti che possano accompagnare qualsiasi azione della giornata, che si ascoltano con piacere, ma che alla fine non lasciano tracce di se.
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