1. LYNCH E IL PARTENONE
Vedendo INLAND EMPIRE (si scrive, pare, tutto in maiuscolo), come quando vidi “Mulholland Drive”, mi è venuto e mi venne in mente, non so per quale movimento associativo, lo strano fenomeno delle colonne del Partenone. L’ho sempre rifiutato ogni volta che mi balzava fuori dal flusso di pensieri che Lynch mi sollecita, ma dopo quest’ultimo film si è imposto. Insomma: Le colonne del Partenone se viste da lontano sembrano curvarsi, sembra che i loro margini si mutino a vicenda. Questa è la sensazione inspiratami da Mulholland Drive che, in fondo, affianca due storie non uguali, ma fatte delle stesse componenti. Le due storie accorpate si influenzano anche se entrambe godono di un’autonomia precisa e dettagliata. La loro specificità però è intaccata poichè sono composte delle medesime facce ( i nomi dei personaggi [Diane etc etc], i volti degli attori [Watts, Theroux] , gli stessi luoghi). Quello che invece presenta INLAND EMPIRE è un sovrapporsi di storie collegate, parallele (come le colonne del partenone); se Mulholland Drive si “limitava” a scorgere solo due capitelli, INLAND EMPIRE invece affronta un’intera facciata. Lynch s’impegna sempre di più nella spettacolarizzazione di un processo di sovrimpressioni, di vettori di senso che s’inframmezzano secondo vie oscure. Ma non si dica che Lynch non bada al senso. Anzi, è il suo arsenale.
2. SCONNESSIONI?
Il film non è coerente, ma è la coesistenza di varie coerenze. I fan, i supporter accaniti acritici di Lynch, parlano sempre del guru come un apostolo della sconnessione. “Cè non sai Eraserhead quanto è sconnesso, cè proprio assurdo”. Per scardinare questo parere diffuso che non è falso, che mi trova d’accordo, ma è sempre bello contraddire i cinefili che deglutiscono senza sentire il sapore…per scardinare questo parere dicevo, si può anche dire esattamente il contrario. Come scrisse una volta enrico ghezzi (che, invece, si scrive tutto in minuscolo) non so in che articolo né in riferimento a che cosa :“ogni parere critico contiene il suo rovescio”. La presupposta sconnessione lynchiana contiene il germe di una assidua connessione: INLAND EMPIRE è infatti un collegamento di storie frantumate che sono sì sganciate, ma la nostra attenzione è riposta nel loro moto di avvicinamento e non nel loro iniziale isolamento.
3. TRAME DI TRAMA
Detta in breve la trama può essere schematizzata e quindi snaturata tradita, in questo modo: un’attrice (Laura Dern), moglie di un potente produttore hollywoodiano, vince un provino per una parte. A quanto pare la pellicola è un remake di un film polacco (dal titolo “47”) che non fu mai portato a compimento a causa dell’assassinio dei due attori principali. La Dern dovrà interpretare il ruolo di protagonista assieme a un attore (Theroux) dalla fama di donnaiolo e playboy: quest’ultimo ha ricevuto accorati consigli dall’entourage della troupe che lo mettono in guardia dal sedurre la sua collega. Il marito lo verrebbe a sapere subito, potente com’è nell’ambiente, e sarebbero guai. La fornicazione, nonostante gli avvertimenti, avviene. Ecco, questo è la soglia dopo cui c’è un definitivo e continuo non ritornare alla situazione di partenza che, per quanto esasperata, è comprensibilissima. Magari magicamente imballata, ma la propulsione iniziale di INLAND EMPIRE, il suo lynchipit è un vettore di senso imprescindibile. Ha senso ed acconsente ad un’interpretazione abbastanza univoca che contrasta con tutte le instabilità che caratterizzano la seconda parte del film.
INLAND EMPIRE ha un rapporto di diretta filiazione con Mulholland Drive che già introduceva la componente della rivoluzione totale dell’assetto filmico, compiuta all’interno del film stesso; a differenza di “Lost Highway” che aveva ancora bisogno di scompaginare tutto (volti e personaggi) facendo sopravvivere solo la Arquette in entrambe le sezioni del film.
Dopo l’entrata di Laura Dern nella porta con la scritta enigmatica, Lynch rifiuta la scriminatura tra la trama e il suo sottotesto. Così la storia di partenza si riflette in una struttura frantumata in cui c’è spazio per commistioni narrative sempre più rotte ed inconciliabili. Il momento in cui tutto si incrina è quello in cui avviene l’inclusione suprema in un’altra dimensione che poi si dimostra essere più dimensioni. Sequenze di realtà e situazioni diverse non vengono solo accostate, ma diventano un corpus unico in cui la coordinata del tempo non interviene per ordinare i fatti e i contesti.
4. IL FILM POLACCO
A quanto pare quel film intitolato 47, di nazionalità polacca che non fu mai concluso, chiede di rientrare nel mondo attraverso quella porta che è il cinema. Quel prodotto europeo non conobbe il limite della fine e, rimanendo perciò estraneo alla contrazione temporale, può rivendicare di riapparire proditoriamente. Come ogni opera che si rispetti, il film ”47” non è solo la sua storia, ma si porta dietro la propaggine di concause che impedirono la sua realizzazione. La coppia dai volti oscurati che dà l’inizio a INLAND EMPIRE è forse quella dei protagonisti polacchi morti ammazzati che compiono la stessa ybris della coppia Dern-Theroux. La storia si ripete sul set di Jeremy Irons, ma stavolta il prezzo della relazione adulterina è uno scollamento completo della realtà. Accade la congiunzione scomposta di due mondi che, a loro volta, si sdoppiano in realtà e rappresentazione. Il mondo polacco, che dire pregresso all’avventura della protagonista è asserzione azzardosa, s’inframmezza alla realtà della finzione hollywoodiana e così i due backstage diventano un unico grande Set pronto ad abbracciare tutto. Questo gioco di intermittenze riserva un crogiolo di misteri in deflagrazione.
5. RELAZIONI PROIBITE E SCATOLE MAGICHE
E’ ironico che il principio di questa scorribanda così eclettica, fatta di ammazzamenti e balletti pop, sia causato da una semplice relazione proibita. Già in “Blue Velvet” e in “Strade Perdute” c’era la presenza di una donna da cui stare alla larga ed entrambi i protagonisti dei film ci finiscono per fare l’amore salvo poi andare incontro a guai irreparabili. Altra assonanza con quei film è la predilezione verso lo spazio dell’inclusione che sembra un movimento verso un buco nero risucchiante. In Velluto Blu l’inclusione nella stanza della Rossellini, così come in Lost Highway la cella che diventa perno di una sostituzione personale. L’inclusione è il margine lynchiano che, oltrepassato, dà luogo ad una centrifuga delle situazioni costituite. Esempio lampante è la scatola magica di Mulholland Drive nella quale si entra per assistere ad una inversione immediata del plot di partenza. Nell’ultimo film invece la demarcazione è rappresentata dalla porta di lamiera oltre la quale si assiste ad una sorta di movimento reiterato di situazioni e realtà tra loro estranee; tant’è che una stessa scena viene proposta due volte (quella dell’interrogatorio con il commissario occhialuto), quasi a voler significare che in questo balletto non c’è un metodo calibrato di rappresentazione, le situazioni si moltiplicano e ritornano fuoriuscendo dalla narrazione magmatica.
6. IDENTIKIT DI UN’ALLUCINAZIONE
INLAND EMPIRE è un film grande in cui trovano spazio innumerevoli spunti per rendere visibile la fisionomia dell’allucinazione. È difficile immaginare una creazione che sia così seduttiva nonostante le chiare defezioni di struttura. Ciò che è certo è che l’instancabile ricerca di Lynch della reificazione non scaturisce mai da gratuità o capricciose licenze artistiche, ma si mostra sempre sincera nel suo essere epifanica. In lui le regole narrative convenzionali non sono disattese, vengono solo rimpiazzate con automatismi di significazione sconcertanti e temerari, ma sempre fedeli ad una missione autoriale perché ossessivamente unica.
7. DAVID IL PITTORE E STANLEY IL FOTOREPORTER
Dinanzi a tanti critici che si limitano a tratteggiare letterariamente INLAND EMPIRE, solo enrico ghezzi in un suo strepitoso soliloquio notturno lo ha definito: il nuovo Lynch è un insieme di nastri di Moebius impazziti “che saltano come cristalli“. Di primo acchitto, ma anche dopo svariati tentativi di incasellare il mondo di INLAND EMPIRE, si sente una assidua frustrazione nel non poter assicurare al film nessun margine preciso. Essendo instabili le creature di Lynch e INLAND EMPIRE più di tutte, hanno il fascino di non appartenere a qualunque confine cinematografico. Ma soffrono, al contempo, della impossibilità di dirsi concluse e quindi perfette. Molto probabilmente Lynch, che è una personalità di cinema enorme, impallidisce al cospetto della figura di un Kubrick con cui condivide l’attitudine all’implosione narrativa (da ricordare che Eraserhead era uno dei favourite movies del regista di Shining). Kubrick sapeva che ogni gran film non finisce mai di non finire, ma a questo sentimento di infinitezza adduceva una inesauribile voglia di perfezione e di controllo completo. Se Stanley era uno scienziato dell’astrazione, Lynch rimane più imparentato con ambiti artistici. Kubrick discende dalla fotografia e quindi tende alla definizione fintamente documentaristica della flagranza visiva attribuendole canoni di precisione spaventosamente finiti e sorvegliati. Lynch invece è di ascendenza pittorica, si avvale di una vena sempre sgrammaticata e sfumata, continuamente simile alla capacità figurativa di Francis Bacon.
8. CAPOLAVORO? SI – CAPOLAVORO? NO
Diffidate di chi vi sconsiglia INLAND EMPIRE e anche da chi lo reputa un capolavoro risolutivo e pietra miliare del cinema. L’unica certezza è che questo condensato di immagini senza tempo (nel senso che il concetto di durata è comodamente trasceso) compone un film grande per la capienza visiva che lo contraddistingue.
Autore: Roberto Urbani