Medimex 2025. Dopo la gioia lasciata nei giorni precedenti da St. Vincent e Primal Scream, è la volta degli attesissimi Massive Attack.
Quando aspetti un concerto del genere, immagini come potrà essere: ti aspetti la maniacalità del suono perfetto, ti aspetti la critica sociale che sono soliti portare con sé.
Ma in questo tour, complice anche il periodo storico che stiamo vivendo, la musica ha un ruolo marginale. I Massive non erano lì per “suonare”, ma per fare qualcosa di più radicale, disturbante nel modo più giusto.
L’apertura con un messaggio di Medici Senza Frontiere e un lungo applauso ha subito dato il tono della serata. Il pubblico, in attesa di un’esperienza musicale, si è ritrovato immerso in un viaggio visivo e sonoro fatto di immagini crude: guerra, distruzione, frivolezze moderne, ricchezza e povertà. Le prime immagini erano parole su schermo: una serie di titoli di testate giornalistiche italiane legati a gossip e scandali, parole che apparivano freneticamente sullo schermo sulle note di In My Mind e Risingson.
Dopo, immagini di un futuro distopico, di Elon Musk, di scenari alla Black Mirror.
I volti di molti tra il pubblico venivano proiettati sul maxischermo, racchiusi in riquadri che simulavano un riconoscimento facciale. Sembrava sapere tutto su ciascuno. Se inizialmente questo destava un piacevole stupore, il fine era un altro, tutt’altro che rassicurante. Come ritrovarsi davanti a un amico che ti racconta senza filtri una verità brutta, orribile, i Massive fanno lo stesso, con una semplicità comunicativa che – dopo tanto tempo – ci ricorda davvero il senso dell’arte e della musica.
La musica che racconta. Che denuncia. Senza aver bisogno di troppe parole, mostrando realtà crude. Sul palco, in mezzo alle macerie, tra bombe e volti dei leader mondiali, appare Elizabeth Fraser (voce dei Cocteau Twins e collaboratrice di vecchia data). Con la sua aria sognante, movenze morbide e voce da sirena, non è lì per consolarci.
Canta sulle immagini che scorrono aberranti. Applaudire diventa complicato: non era per la performance, ma per il supporto al messaggio. Era per accompagnare il coro spontaneo del pubblico: “Free, free Palestine”. Sul palco alla voce oltre Robert Del Naja e Daddy G si alternavano nei suoni perfetti, calibrati con una precisione maniacale, di profonda bellezza anche Deborah Miller e Horace Andy. Impeccabili, accompagnavano la narrazione rappresentando un contrasto netto tra la perfezione della voce angelica e l’imperfezione del mondo rappresentato.
Non era un concerto. I Massive parlavano alle persone.
La sensazione era surreale: di chi si presenta a uno spettacolo per sorridere, ma scopre che lo scopo è un altro. Le nostre vite fortunate e frenetiche ci riempiono di pensieri stressanti, che vogliamo esorcizzare allontanandoci dalla realtà, anche solo per la durata di uno show. Ma oggi, qual è il ruolo dell’arte? Quello di distrarci o di denunciare?
È la Primavera di Botticelli o le urla dipinte da Francis Bacon? Io quella sera ho visto urla strazianti. Una denuncia. Raccontata con dignità e verità.
Il momento più devastante, forse, è stato il canto della Fraser sulle note di Tim Buckley, tra le macerie della Palestina, un dolore sordo, crudo, che rimane addosso. I Massive Attack hanno voluto insegnare ai politici quanto sia facile parlare, ma difficile dire davvero qualcosa, come loro in semplicità hanno fatto , smuovendo le coscienze di chi era lì e lasciandoci tornare a casa riflettendo. In un mondo che normalizza la distrazione, loro hanno scelto di disturbare. Tra i brani anche la cover degli Ultravox “ROckwrok” a conferma di uno stile più chitarristico dell’intero sound live della band.
E lo hanno fatto con arte, anima, coraggio, in un modo che solo loro sanno fare.
Ci insegnano che l’arte può (e forse deve) essere un impegno collettivo, una forma di resistenza collettiva. Chi era lì si aspettava uno spettacolo, una performance, e invece ha ricevuto una scossa.
Non è un concerto che si possa “ricordare” come gli altri, non vuole e non deve essere ricordato come gli altri. Non per la scaletta o la scenografia, ma il senso di impotenza, di rabbia, di consapevolezza.
La sensazione che, per una sera, la musica abbia funzionato dove falliscono i politici.I Massive salutano in modo frugale,senza bis , con semplicità di chi ha detto quel che doveva dire e ora?Ora sta a noi fare qualcosa.
https://www.massiveattack.co.uk/
Scaletta :
In my mind
Risingson
Girl i love you
Black milk
Take it there
Futureproof
Song to the siren
Inertia creeps
Rockwrok
Angel
Aafe from harm
Unfinished sympathy
Teardrop
Group 4



