Si parla sempre di David Gilmour, Roger Waters, Keith Richards, Mick Jagger, Paul Mc Cartney e Bruce Springsteen. Artisti senza età che hanno attraversato generazioni e ancora producono dischi rispettosissimi. Giusto allora non dimenticare John Cale, fondatore insieme al compianto Lou Reed dei Velvet Underground, ma anche produttore e musicista per tutto questo tempo di una carriera meno gloriosa e famosa dei suoi colleghi appena citati, ma non certo meno prolifica o meno nobile. Cale oggi annuncia il suo 35simo album, POPtical Illusion, uscito il 14 giugno su Double Six/ Domino, presentato dal singolo incredibilmente solenne e epico How We See The Light.
Questo già sarebbe di per sé un numero da record, per un autore che ha 82 anni e he evidentemente non ne vuole sapere della pensione. Ma colpisce anche il fatto che il suo album precedente, MERCY, sempre per Double Six/Domino, data meno di un anno fa (sempre recensito da noi di Freak Out QUI).
Nonostante il titolo giocoso, questo nuovo disco di Cale conserva le stesse sensazioni di rabbia presenti in MERCY: “una raccolta profondamente atmosferica sull’imminente rovina e sul potere salvifico dell’arte e della comunità” (Wall Street Journal). Trump e la Brexit, il Covid e il cambiamento climatico, le battaglie per i diritti civili e l’estremismo di destra: quello che lo indignava in MERCY, indigna anche qui l’autore (I’m Angry, Setting Fires, Company Commander). Ma questo album non è affatto MERCY II, o una sorta di raccolta di scarti, perché Cale, nel corso della sua carriera di oltre sei decenni, non è mai stato incline al ripetersi. A meno di un anno di distanza da un disco che in pratica era una collection di duetti e collaborazioni con talenti contemporanei attualissimi, POPtical Illusion invece rinuncia a collaborazioni per addentrarsi da solo in labirinti di sintetizzatori e campionamenti, organi e pianoforti, con parole di speranza e una incrollabile, tenace, quasi ostinata insistenza sul fatto che il cambiamento sia ancora possibile. Prodotto da Cale e dalla sua partner artistica di lunga data Nita Scott nel suo studio di Los Angeles, POPtical Illusion è il lavoro di un artista che guarda verso il futuro, come Cale ha sempre fatto, nonostante e a dispetto della sua età.
Cale ha dichiarato che durante la pandemia si è reso conto che, avvicinandosi all’età di 80 anni, stava vivendo e lavorando a qualcosa che molti dei suoi passati contemporanei non avevano vissuto, e ha deciso di documentarlo scrivendo più di 80 canzoni in poco più di un anno.
POPtical Illusion sintetizza questi sprazzi di ispirazione distopica in musica industrial come in All to the Good o Laughing in my Sleep, soluzioni minimali e recital quasi parlati con poca musica (Company Commander, Edge of Reason, Setting Fires), musica quasi garage come la travolgente Shark-Shark, un quasi Trip-hop come Funkball the Brewster e una preghiera solenne in chiusura come There will be no River: niente di più diverso dai rumorosi esordi rock di sessanta anni fa coi Velvet. E anche diversissimo anche dalla sua produzione con Patti Smith e gli Stooges, con la quale ha attraversato mezzo secolo di punk, post-punk e art-rock a venire. Ancora una volta, in POPtical Illusion, Cale si pone come un faro verso nuove direzioni: guarda ai disordini della storia recente, se ne allontana con disgusto (“We can reverse the hate”, dice in quella simil-poesia recitata che è Edge of the Reason) e poi si dirige verso il futuro (Calling You Out), anche se, come tutti noi, non sa esattamente cosa o chi troverà, è semplicemente felice di andargli incontro (How we see the light).
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