Come è già operato per il passato per altri articoli, prima di iniziare un’analisi dell’ultimo lavoro discografico di Eric Clapton “Meanwhile” (Surfdog Records), pubblicato ad ottobre del 2024 in formato liquido e nel 2025 in CD e Vinile, è opportuno fare alcune premesse, così da rendere il campo sgombro da equivoci.
- Premessa
Eric Clapton è stato un musicista che ha significativamente caratterizzato la mia adolescenza e la mia nascente formazione musicale; uno dei ricordi più sentiti, legati alle mie esperienze in gruppo e a scantinati e garage allestiti come sale prove, è la prima volta che “provai” anche con un batterista “Sunshine Of Your Love”, fino ad allora da me suonata solo al basso o alla chitarra. Da ragazzo, il 30 aprile del 1995, andai poi in trasferta a Roma per assistere al suo concerto del From The Cradle Tour; dopo i Dire Straits a Cava dei Tirreni nel 1992 e i Pink Floyd a Roma nel 1994, quello fu il terzo “grande” concerto a cui ho assistito.
Crescendo, poi, ampliando gli ascolti, la mia considerazione su Eric Clapton è parzialmente mutata; non che ne abbia negato le capacità, ma ho solo progressivamente ridimensionato la sua caratura artistica anche in relazione ai suoi anni migliori, realizzando che gran parte del suo successo era dovuto alla sua capacità (o coincidenza) di essere musicista in formazioni composte da altri musicisti che, o ne esaltavano le caratteristiche, o erano quasi sempre di livello a lui superiore.
Dopo la parentesi The Yardbirds, ciò era infatti accaduto con John Mayall e i suoi The Bluesbreakers, in uno speciale su Mayall a cui si rimanda qui, ebbi modo si scrivere: ‘I The Bluesbreakers, con Clapton, pubblicheranno nel 1966 “Blues Breakers with Eric Clapton”, un lavoro efficace, solido, diretto e prodromico, destinato ad essere probabilmente (con “Jazz Blues Fusion”) il più famoso (ma non il migliore) disco di Mayall, per un Eric Clapton che qui trova ampi margini di spazio, certifica le sue indubbie qualità di chitarrista iniziando a delineare un “suono”, firmando con Mayall l’intensa “Double Crossing Time”, mettendo anche la voce in “Ramblin’ On My Mind” (brano che Clapton non abbandonerà mai in carriera) e caratterizzando brani come (per tutti) la rivisitazione di “Steppin’ Out” di James Bracken che poi riproporrà, di lì a poco, anche con i Cream (significativa la lunga versione presente su “Cream Live Volume II”; brano da ascoltare con la celebre e successiva “Lazy” dei Deep Purple)’.
Ed ancora, poi, con i Cream data la presenza di Jack Bruce e di Ginger Baker (generazionali i loro “Disraeli Gears” del 1967 e “Wheels of Fire” del 1968, anche se le cose migliori sono contenute nei due “Live Cream”), con i Blind Faith (che oltre al citato Baker vedevano in formazione il grande Steve Winwood; di Clapton, dall’album “Blind Faith” del 1969, la bella “Presence of the Lord”) e con i Derek And The Dominos, gruppo che si fregiò della presenza di Duane Allman, chitarrista tra i più grandi di tutti i tempi, che lasciò il segno e la chitarra nel loro brano più celebre “Layla”; in occasione dell’articolo ‘“Final Concert”: il perfetto commiato live dei The Allman Brothers Band’, ebbi modo di scrivere: ‘si pensi che nel 1970 Duane Allman aveva anche preso parte alle registrazioni di “Layla and Other Assorted Love Songs” con i Derek And The Dominos, lasciando il segno nella realizzazione della celebre “Layla” di cui numerose “fonti” attribuiscono a Duane Allman la scrittura del noto riff iniziale (per tutte https://web.archive.org/web/20090831061616/http://www.guitarworld.com/article/100_greatest_guitar_solos_14_quotlaylaquot_eric_clapton_duane_allman – consultato il 6.2.25)’.
E a ben ascoltare, la carriera solista che poi Clapton intraprese si è assestata su un comodo e radiofonico rock bluse da salotto e da giacca e cravatta, con pochi spunti interessanti, tutti mai sopra le righe, racchiusi in lavori quali “461 Ocean Boulevard” del 1974 (forse il suo disco in studio migliore, sebbene anch’esso “medioso”, con una bella versione di “I Shot The Sheriff” dei The Wailers e con a sua firma la ballata da pop psichedelico come “Let It Grow”), “Slowhand” del 1977 (più per il rifacimento di “Cocaine” di J.J. Cale e per “Lay Down Sally” che per la celebre e sdolcinata “Wonderful Tonight” che però bene testimonia l’attitudine di Clapton ad incline al mercato discografico e alle sue leggi).
In una discografia che diventa nel tempo trascurabile, nel 1992 Clapton si mostra ancora una volta lungimirante ed attento alle “mode” del tempo e (soprattutto) a quelle a venire, e registra lo storico “Unplugged” per l’MTV networks. “Unplugged” si rivela perfetto nel mediare il gusto del pubblico con esecuzioni di qualità, immortalandosi per le versioni acustiche di “Tears In Heaven” e di “Layla”, accontentando così nuovamente i fan e il “mercato”.
Due anni dopo, con “From the Cradle” del 1994, Clapton tenta di recuperare una matrice blues interpretando brani altrui per un disco ottimamente confezionato che si mostra essere come l’ultimo sussulto solista di un Eric Clapton ispirato alla chitarra (a Clapton va dato il merito di essere abile interprete anche di composizioni famose; oltre alle citate “Cocaine” e “I Shot The Sheriff” si pensi alla sua versione di “Knockin’ on Heaven’s Door” di Bob Dylan o ad “After Midnight” di J.J. Cale; Clapton però non arriverà mai a comporre un disco esatto come “Naturally” di J.J. Cale del 1971).
Capitolo a parte andrebbe aperto per i numerosi live: da menzionare (a gusto dello scrivente) “Eric Clapton’s Rainbow Concert” del 1973 (con ospiti d’eccezione quali Pete Townshend, Ronnie Wood, Steve Winwood, Jim Capaldi, Ric Grech), “Just One Night” contenete registrazioni del 1979 e il cofanetto “Crossroads 2: Live in the Seventies” contenete registrazioni comprese tra il 1974 e il 1978.
- “Meanwhile”
Ora con “Meanwhile”, la cui gestazione è durata cinque anni contenendo registrazioni che dal 2020 arrivano fino al 2024 (alcune pubblicate come singoli negli anni), Clapton ripropone nuovamente una miscela edulcorata e radiofonica di rock e musica nera, da ascoltare in auto viaggiando su qualche statale statunitense (“Pompous Fool” in apertura docet), non risparmiando anche momenti tranquillamente evitabili (come per la tradizionale “Sam Hall”).
Va poi detto che, come per il passato anche “Meanwhile”, è composto da brani prevalentemente non a firma di Clapton.
“Heart Of A Child” recupera il vecchio stile Clapton da ballata orecchiabile e dalla sua giusta fruibilità si comprende perché sia stata pubblicata come singolo nel 2021.
La classica “Moon River”, sebbene veda la prestigiosa partecipazione di Jeff Beck alla chitarra, appare come colonna sonora per qualche film sul natale: 45 giri da mettere sotto l’albero, al pari dell’altro classico “Smile”; ricordo quanto ascoltai per la prima volta un’interpretazione di Clapton di “Smile” dal suo disco “Time Pieces Vol.II Live in the Seventies”, in versione sicuramente più convincente.
Anonima è “Always on My Mind” (con la partecipazione di Bradley Walker).
La storica passione di Clapton per atmosfere reggae emerge in “One Woman”, che riporta il disco su sonorità on the road, sonorità che si consacrano con la più sostenuta, ruvida e southern “The Rebels”, scritta da Van Morrison e con lo stesso Van Morrison alla voce e all’armonica.
Se “The Call” è ballata morbida, da fuoco notturno in riva al lago, “How Could We Know” (con Judith Hill alla voce) tracima in patinati territori pop-soul.
Di gradevole ascolto è “This Has Gotta Stop” (nuovamente con Van Morrison alla voce e anche al sassofono).
“Stand and Deliver” (sempre con Van Morrison che ne è anche autore) rialza (parzialmente) le sorti del disco per uno dei pochi momenti sopra la “media”, media che torna con “You’ve Changed” (di Chuck Berry), blues senza infamia e senza lode.
“Meanwhile” si conclude con “Misfortune” che con il suo “modesto” aspetto ne incarna corpo e anima.
Tempo fa, su queste pagine, si scrisse con entusiasmo dell’ultimo disco solista di Mark Knopfler (‘Mark Knopfler: dai Dire Straits a “One Deep River”. Il ritorno a una ritrovata efficace scrittura’) a dimostrazione di come il tempo trascorso e l’età avanzata non siano necessariamente nemici dei musicisti; ebbene, da un facile paragone con il citato Knopfler, si può serenamente dire che Eric Clapton abbia perso ancora una volta un’occasione per dimostrare di essere un buon musicista prima ancora di essere un buon chitarrista.
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