Non è un evento che può passare inosservato. Lo spettro dei Laibach incombe sull’Europa dal 1980, quando la Slovenia – da dove provengono questi pionieri continentali dell’industrial – era solo una delle 6 repubbliche della Jugoslavia. Che allora era comunismo, cortina di ferro, anche se più smorzata rispetto agli standard degli altri “cugini” slavi.
Un po’ di storia, come vedete. Quella a cui appartengono ormai i Laibach, anche se ancora attivi. Una band che ha saputo imporre se stessa e la propria musica come pochissime altre, e non stiamo parlando di vendite. Giunsero perfino a fondare una loro nazione – la NSK, acronimo di Neue Slowenische Kunst, e pazienza se il concetto è espresso in tedesco anziché nella loro lingua madre – per far capire i loro intenti rivoluzionari, in campo culturale/sociale più che semplicemente musicale.
Ma cosa è successo in questi ultimi 7 anni di silenzio? Bè, un millennio se n’è andato, un altro, carico di speranze di salvezza e benessere, ha finora fallito, portando anzi ancora più agitazione e conflitti, e la maschera della normalità, già precariamente sistemata negli anni 19xx, adesso è caduta del tutto. 2003: le trasmissioni dei Laibach riprendono, velocemente, violentemente, consapevolmente. Con “WAT” – questo il titolo del nuovo album, in uscita su Mute proprio oggi – i Laibach accelerano ulteriormente, spinti dalla propulsione di 23 anni di contraddizioni, controversie, provocazioni, con l’intenzione di attirare ascolto verso la loro personalissima zona temporale, e cospirare contro le forze occulte che permettono ai governi occidentali di andare avanti indisturbati. Nessuno è risparmiato dagli interrogativi e dai paradossi dei Laibach, e gli effetti del loro intervento sono irreversibili. Questo è “WAT”: un quesito radicale sulla storia dei Laibach, e sui desideri e i progetti del suo pubblico.
“WAT” è una nuova svolta stilistica nella musica dei Laibach, nel suo muoversi sempre più dentro l’universo digitale. Più minimale ma non per questo meno aggressivo e diretto, l’album intensifica l’analisi dei Laibach dei rapporti traumatici tra musica e potere, arte e ideologia, vita e morte.
“I Laibach non possono essere difesi perché non hanno motivo di difendersi”
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