Dopo il caldo, avvolgente e riuscito “Black Acid Soul” del 2021, Lady Blackbird (Marley Munroe) con “Slang Spirituals” (BMG) dà prova di come si possa essere “perfetti” senza sovrastrutture, ridondanti arrangiamenti o esposizione di circensi virtuosismi.
Già “Black Acid Soul” (con arrangiamenti di Chris Seefried) aveva fatto della “semplicità” il suo punto di forza, per un disco notturno e bello in cui la voce di Lady Blackbird si innalzava su strumenti tanto “discreti” quanto efficaci e puntuali, come testimoniava da subito l’esatta apertura affidata a “Blackbird” (di Nina Simone); un disco che riusciva a suonare “morbido” ed elegante anche nei momenti potenzialmente più spinti come “Collage” (di Joe Walsh e Patrick Cullie) …
Con “Slang Spirituals” Lady Blackbird, se da una parte con saggezza ha conservato l’essenzialità quale caratteristica degli arrangiamenti, con altrettanta saggezza non ha replicato il mood di “Black Acid Soul”, virando verso una più solida e “movimentata” essenza, oltre a puntare prevalentemente su brani inediti piuttosto che su riletture di composizioni altrui.
Se “Black Acid Soul” era il nero, “Slang Spirituals” è il bianco, se “Black Acid Soul” era la notte, “Slang Spirituals” è il giorno, per due lavori tanto dissimili quanto complementari.
Messa la puntina sul vinile, rompe il muro del suono la potente e profonda “Let Not (Your Heart Be Troubled)” a cui segue la splendida e possente “Like Woman”, dal prefetto gusto gospel e retrò anni settanta, per un’accoppiata che da subito nobilita l’ascolto.
Non da meno è “Reborn”, miscellanea di rock & roll, musica black e aperture da Broadway theatre.
Con “Man On A Boat” l’orecchio si sposta verso un (inconsueto) cantautorato acustico, prima che umori quasi lisergici facciano salire i fumi acquosi e blues di “When The Game Is Played On You” che si sublima nella sua seconda metà con l’ingresso anche della voce, ponendosi a chiusura di un Side A di assoluto pregio.
Girato il vinile è la volta dell’intensa “The City” a cui segue “Matter of Time” dove la presenza dell’orchestrazione d’archi (comunque non invadente) conferisce un piglio più ordinario e accattivante.
Se “If I Told You” è coinvolgente, con la lenta “No One Can Love Me (Like You Do)” si toccano sponde sentimentali.
Altrettanto riuscita è l’altra ballata “Someday We’ll Be Free”, delicata e sognante.
La bella “Whatever His Name”, intrisa di sentori rock/psichedelici, è un viaggio onirico che chiude uno splendido lavoro discografico che, sebbene volga lo sguardo al passato, suona di una spontanea schietta freschezza; merito di ciò, la produzione e la sapiente partecipazione alla chitarra elettrica, alla chitarra acustica, al sitar e al mellotron di Chris Seefried che ha contribuito (ancora una volta) alla riuscita del tutto.
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