Nell’agosto del 2010 un contingente costituito dai membri dei 24 Grana e dai “freakouters” Giulio Di Donna e Daniele Lama partì da Napoli con destinazione Electrical Audio, West Belmont Avenue – Chicago per le sessioni di registrazione del disco della band partenopea “La Stessa Barca”, pubblicato poi nel febbraio dell’anno successivo attraverso la label La Canzonetta.
Il loro viaggio fu un po’ salutato come una missione. Quel gruppo di persone simbolicamente rappresentava tutta una comunità musicale – a più livelli – in pellegrinaggio in uno dei templi della musica indie, difatti l’accezione di questo termine in quel periodo era indicativa di tutt’altra insiemistica musicale rispetto a oggi.
Il 2010 sembra un presente remoto, la memoria è viva e ancora fresca per ricavare delle testimonianze di quella esperienza. Qualcuno nei vecchi hard disk ha trovato le immagini del concerto al Double Door, altri avevano le registrazioni audio; qualcun altro ancora ha scovato i piccoli shot registrati con l’attrezzatura dell’epoca. Ho raccolto tutto il materiale e mi sono divertito a “costruire” un simpatico documentario con immagini inedite e che vogliamo mostrare in memoria e in omaggio allo scomparso Steve Albini.
Francesco Di Bella (cantante e autore): Sono stati giorni incredibili per me agli Electrical Audio. Non finirò mai di ringraziare Steve Albini per la cura e la competenza con cui ha lavorato con noi. Mi fa ancora strano pensare al livello di confidenza che abbiamo avuto, le risate e i discorsi seri. A volte mentre registravamo sentivo che la nostra musica non aveva più i soliti confini. I brani del disco suonavano asciutti e diretti, quello che volevamo esprimere era tutta la nostra sincerità. Il gruppo suonava tutto insieme in studio, in presa diretta ed il mood era perfetto per esprimere il concetto di stare sulla stessa barca, muoversi insieme in maniera sincronica e senza sbagliare un colpo. Al momento di separare le tracce sul nastro, Steve chiedeva di fare silenzio e di aspettare che l’emozione facesse partire il pezzo successivo e poi tagliava il nastro.
Giuseppe Fontanella (chitarrista): Steve please, è un ritornello: vorrei semplicemente doppiare la chitarra distorta (ndr: “Ce Pruvate Robè”, il pezzo più rock col ritornello più fuzz del disco). Una a destra e l’altra a sinistra, dai! “Ok Giuseppi”, disse, ed alla fine me la fece suonare con la sua splendida aluminium… Quella, a fatica, fu la seconda ed ultima concessione alle sovraincisioni. La prima, invece, ebbi l’impressione mi stesse prendendo anche un po’ per il culo. Volevo inserire dodici (dico 12) piccole note in levare sulla seconda parte del solo di “Germogli d’inverno”. Volevo una cucciolata di Beagles ad addolcire il finire del solo. L’accordò, sempre a fatica, ed all’uscita della sala mi disse con un sorriso a mezza bocca: “ora sì che la canzone è migliorata…” Odiava le sovraincisioni. La presa diretta doveva essere pura, per quanto possibile. Abbiamo con lui imparato a lasciar perdere le piccole sbavature nell’esecuzione per concentrarci sulle versioni dei brani in cui creavamo un abbraccio collettivo. Quattro minuti unici che meritavano il nastro, ed avremmo ascoltato per sempre. Quattro minuti che ancora oggi mi emozionano e rimandano a quei giorni agli Electrical Audio. Ciao Steve.
Renato Minale (batterista): La prima volta negli States, ventuno giorni a Chicago, mia figlia di 6 mesi lontana, l’edificio in mattoncini rossi, gli Electrical Audio, l’odore di moquette, il frigo gigante, il caffè lungo, lo skyline da torcicollo, the bean, il concerto di musica classica al Millenium Park, quello free-jazz in un localino del centro, il negozio di dischi Reckless, il panino da Kuma’s Corner (dove gli hippies non possono entrare), il bagno nel lago Michigan (con Daniele Lama), la visita al museo messicano, Jimi Hendrix nella filodiffusione di un supermercato, la scelta del set della batteria (un ibrido di Dw e Tama), noi 4 affiatatissimi, Steve in tuta da lavoro, Steve che lavora con precisione e fermezza, Steve che muove la testa a tempo durante gli ascolti (e tu pensi che forse gli piace quello che sta ascoltando), il suono della batteria (il suo fottuto suono!), il disco finito in meno di due settimane, il live al Double Door, Steve e le partite a poker online, Steve e i gatti, Steve e la musica. L’esperienza più eccitante da musicista l’ho fatta proprio in quell’estate del 2010. Grazie di tutto, Steve!
Alessandro Innaro (bassista): Sono passati ormai parecchi anni dall’estate del 2010, un periodo che posso definire senza ombra di dubbio esaltante! Pochi mesi prima i 24 mi proposero di suonare con loro e soprattutto di lavorare insieme ai brani nuovi, perché di li a poco si andava a Chicago da Steve Albini a registrare “La Stessa Barca”. Brani Rock da suonare e registrare fra mura che hanno vibrato al suono Rock di album che appartengono al mito, il suono consegnato alla storia dalle mani, le orecchie e più di ogni altra cosa la verità di Steve Albini. Fuori al Duble Door (locale in cui ci siamo esibiti) un uomo alla porta ci chiese come mai fossimo li? Gli raccontammo che eravamo agli Electrical Audio a registrare con Steve, e mi rimase impressa una cosa che disse:” Albini, metà mondo lo ama e metà lo odia!” non gli chiesi spiegazioni, avevo già la risposta, Steve amava la verità artistica anche a costo di essere controproducente. Il pubblico merita la verità sempre. Riecheggia il suono di quelle pareti nella testa e l’immagine della E di Electrical stampata sulla tuta da lavoro di Mr Albini mentre mixa e fa suonare quei brani Rock per l’album Rock dei 24 Grana.
Daniele Lama: Era l’Agosto del 2010. Electrical Audio a Chicago. Nella sua tuta da meccanico blu, dopo essersi assicurato che ogni singola manopola del mixer fosse al suo posto, Steve rompeva il silenzio sempre con la stessa frase, in italiano: “Tutti pronti? Registriamo!”. E faceva partire il nastro. Si stava incidendo “La stessa barca” dei 24 Grana e io facevo di tutto per tenere a bada il timore reverenziale e rapportarmi in maniera professionale col signor Albini. Uno dei pochi (purtroppo, eh) in ambito musicale, di cui ho sempre ammirato attitudine, etica, principi, integrità. Quegli studi, quella casa, al me più giovane ed entusiasta, meno cinico e disilluso di adesso, sembrarono allo stesso tempo una sorta di isola utopica e posto incredibilmente familiare e accogliente.
Giulio Di Donna: Decidemmo di accettare la proposta dei 24 Grana e curare il management con tutti i servizi connessi: ufficio stampa, booking, rapporti con la label. Non posso negare che da parte mia c’era qualche perplessità, venivamo da una gestione impegnativa del gruppo Atari che all’inizio degli anni 2000 esplose e prosciugò le nostre energie. Ma i forti legami di amicizia con la band, e l’idea di avviare una piccola rivoluzione nel gruppo, ci convinsero. Tra le idee interessanti c’era appunto andare a registrare il nuovo album in USA. La voglia della band di suonare dal vivo le nuove canzoni e registrarle senza, o con pochissime, sovraincisioni, ci indirizzò immediatamente da Steve Albini, ma in ballo ci fu anche Phil Ek. Nel 1999 avevo organizzato il concerto degli Shellac a Napoli, Steve conosceva le mie attività e una mail di Agostino Tilotta degli Uzeda chiuse rapidamente il cerchio: Steve è libero in agosto ma soprattutto apprezza la nostra attitudine musicale e culturale. In pochissimo tempo organizzammo il viaggio e stabilimmo le recording sessions. Pianificammo 21 giorni di lavoro ma in effetti in due settimane circa l’album era pronto. Così ho avuto la fortuna di vivere un momento storico e aver fatto una dell’esperienze più importanti della mia vita professionale. Ricordo che con Francesco Di Bella scrivevamo un diario per il blog di Rolling Stone Italia nel quale raccontavamo le lunghe giornate di registrazione e di vita i quei fantastici studios. Era abbastanza strano vivere un luogo dove pochi mesi o anni prima avevano soggiornato e lavorato molti dei gruppi che amavamo. Un building di due piani con camere e cucina, salone enorme con tavolo da biliardo, varie sale per la registrazione … erano gli stessi ambienti dove viveva Albini con la moglie e i gatti. Sono convinto che l’approccio etico e morale di artisti come Steve Albini (e aggiungo anche Ian MacKaye – Fugazi), hanno formato il pensiero e il modo di lavorare di molti di noi che per tutti gli anni 90, fino al 2015, si sono professionalizzati in un mercato italiano non sempre facile. A persone come Steve dobbiamo moltissimo e la sua prematura scomparsa rende tutti tristi ma consapevoli che attraverso il suo pensiero, spesso non conciliante, ha gettato le basi per una possibile cultura Altra.