Quando nel mese di marzo gli Shellac annunciarono l’uscita di “To All Trains” (Touch and Go records), sesto album in studio per il trio di Chicago, ho cerchiato di rosso sul calendario la data del 17 maggio, per fiondarmi sull’ascolto di quello che per me è diventato uno dei dischi più attesi dell’anno. Questo perché Steve Albini, Bob Weston e Todd Trainer non pubblicavano dischi da ben dieci anni, se si eccettua la pubblicazione della raccolta di Peel Sessions “The End Of Radio” del 2019 che seguì l’ultimo lavoro in studio “Dude Incredible”.
Un’attesa breve che non è stata accompagnata da nessun brano anticipatore, ma che è stata incredibilmente caratterizzata dalla prematura scomparsa di Albini avvenuta appena nove giorni prima dell’uscita del disco che diventa, inconsapevolmente, il testamento sonoro di una delle menti più brillanti che hanno attraversato l’ultimo trentennio della musica rock.
Nelle poche note che avevano accompagnato l’annuncio di To All Trains, la band fedele ai suoi principi morali e scevri di compromessi che da sempre hanno caratterizzato l’ottica D.I.Y del loro intendere il rock underground, scrivevano che “Questo disco non avrà alcuna promozione formale. Non ci saranno pubblicità, né promozione a mezzo stampa o radio, né promozione elettronica, né copie promozionali o di recensione, né oggetti promozionali, e comunque nessun pranzo gratis”. Bisognava solo aspettare e oggi che l’attesa è finita, ecco materializzarsi negli store digitali e nei negozi un disco tanto breve quanto intenso, composto nei ritagli di tempo, come costume della band, in un arco temporale abbastanza lungo tra il novembre 2017 e marzo 2022.
Ai primi e ripetuti ascolti il disco suona subito familiare sebbene il gruppo abbia scelto di seguire una strada molto più concisa rispetto al passato, con dieci canzoni per un totale di poco più che 28 minuti del più classico noise/math rock fatto di riffs di chitarra nervosi ed innestati su di una solida ritmica che crea fascinosi groove ipnotici.
Albini e Bob Weston si alternano al canto con il primo che risulta a tratti sprezzante anche quando riempie i testi con la sua sottile ironia, mentre il secondo ne ammorbidisce i toni, rendendo il disco meno monocorde rispetto al passato. Sembra quasi che nel mettere a punto questo disco, il trio abbia voluto dare un’immagine più appetibile di sé, non tanto smorzando le note asperità sonore, ma confezionandole in una maniera tale che possa essere accattivante per il neofita, ma allo stesso tempo altamente appagante per i fan di vecchia data.
Se non fosse che la morte improvvisa di Albini non era assolutamente messa neanche lontanamente in conto da nessuno, alcune parti di testo delle canzoni di questo album, suonano come se il chitarrista/produttore le avesse preparate per l’occasione.
In particolare nel brano conclusivo I Don’t Fear Hell, Albini recita “E quando tutto questo sarà finito, salterò nella mia tomba come le braccia di un amante”, proseguendo in un’alternanza tra inferno e paradiso: “Se c’è un paradiso, spero che si stiano divertendo”/ “Se c’è un inferno, conoscerò tutti”.
In un altro brano, Wednesday, dall’atmosfera noir i versi conclusivi recitano “Quindi, ricordatevi di lui, sano e forte, non sarebbe mai scappato da una lotta, e non la cosa triste che gli ha fatto saltare le cervella in cucina, mercoledì sera”.
C’è anche quello che è più che un sentito omaggio a Mark E. Smith dei Fall, figura emblematica e controcorrente del post punk britannico, di cui viene ripreso il titolo di uno dei singoli che anticiparono l’album “Grotesque”: How I Wrote How I Wrote Elastic Man con l’aggiunta (cock & bull).
Il resto è quanto di meglio ci potessimo aspettare dagli Shellac: un disco fatto di brani duri, abrasivi e sperimentale con canzoni piene di riff nervosi, solide ritmiche caratterizzate dal basso pulsante di Weston e dalla batteria di Todd Trainer che come sempre Albini registra in quel modo inconfondibile che è diventato il suo marchio di fabbrica e che lo ha reso celebre ed amato in tutto il mondo. In particolar modo da quei musicisti che hanno scelto il suo Electrical Audio di Chicago, per dare forma alla propria idea di fare musica.
Il disco esce per la Touch & Go, etichetta che ha smesso di pubblicare dischi nuovi nel 2009, se si eccettuano quelli degli Shellac, e le numerose ristampe del suo prestigioso catalogo.
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