Alzi la mano chi non conosce John Peel. Dopo di che vada a informarsi per benino, e di nascosto per evitare ulteriori brutte figure. Nel frattempo la leggenda radiofonica britannica, 40 anni di carriera alle spalle, ha lasciato questo mondo, a 65 anni, per un attacco di cuore occorsogli mentre era in vacanza in Perù. Altra cosa, quindi, rispetto al diabete diagnosticatogli 3 anni fa. Da sempre un fan degli “Archers”, soap opera della BBC, e accanito sostenitore del Liverpool football club, Peel viveva nel Suffolk con la moglie Sheila, affettuoamente nota come “the Pig”.
Il suo marchio sulla musica è rintracciabile nell’omonimo show su BBC Radio 1, in onda in tarda serata 3 giorni a settimana, mediante il quale, per 4 decenni, ha lanciato centinaia di musicisti e band, poi più o meno noti. Si può dire che chiunque sia passato per i suoi studi, suonando dal vivo e lasciando, in molti casi, traccia di ciò attraverso le famose “Peel Sessions”, gli album live-on-air. Peel era, a prima vista, l’antitesi di molte delle band che amava: barba, testa calva, pacato, di buon umore, con l’aria di un vecchio zio più che di un fan del rock. Eppure la sua passione e la sua spinta per la musica ne hanno cambiato il volto, riuscendo a renderla fenomeno effettivamente “pop” (nel senso di popolare) senza però mai interferire nelle scelte artistiche degli artisti passati nella sua trasmissione. Nel 1998 era diventato presentatore su Radio 4 di “Home Truths”, programma che ha poi vinto ben 4 Sony Radio awards l’anno seguente. E’ passato anche a un audience internazionale presentando un programma su BBC World Service.
John Peel, all’anagrafe John Robert Parker Ravenscroft, era nato a Heswall, vicino Liverpool, nel 1939. Figlio di un industriale del cotone, trascorse la sua infanzia lontano dai genitori, con una badante. Frequentò la scuola privata di Shrewsbury, esperienza da lui odiata e compensata solo per il fatto di aver ascoltato lì, per la prima, volta, Elvis Presley – ‘Heartbreak Hotel’ era il brano. “Tutto cambiò quando ascoltai Elvis” disse una volta, “dove non c’era stato niente improvvisamente ci fu qualcosa”.
Dopo il servizio militare tra il 1957 e il 1959, si trasferì in America. Con la beatlemania in auge, John Peel e le sue inevitabili connessioni con Liverpool lo portarono a fare il DJ per la WRR radio a Dallas. “Pensavano che vivere in UK fosse come vivere tra qualche centinaio di persone, in cui per forza tutti conoscono tutti”, disse una volta. Tornò in Inghilterra nel 1967 e andò alla stazione pirata Radio London, prima di trasferirsi a Radio 1, il nuovo canale pop della BBC. Ci sarebbe rimasto per il resto della vita, fino a rimanere l’ultimo dello staff originario.
Fin dagli esordi, Peel cambiò le regole. Suonava tutti i brani senza la minima interruzione, per la gioia quindi di tutti coloro che amavano registrare le puntate del suo show, arricchite da una conduzione all’insegna della competenza e di certa arguzia, lontano mille miglia dalla banalità di parecchi dei suoi colleghi. Nei primi anni Peel fece passare chiunque avesse poi avuto enorme successo – inutile fare i nomi –, non senza, nel caso ad esempio di David Bowie, un particolare coinvolgimento.
A metà anni 70 Peel si allontanò dal mainstream rock per diventare megafono dell’allora nascente terremoto rock: il punk. Band come Sex Pistols e Clash fecero da battistrada anche per la seconda ondata punk del 1979 e per la new-wave – Joy Division su tutti. Il suo singolo preferito, in assoluto, era ‘Teenage Kicks’ degli Undertones, brano che in un’occasione mandò in onda due volte consecutive – primo presentatore della BBC a farle una cosa del genere. Questo è stato, peraltro, il brano che la BBC ha mandato in onda ieri mattina dopo aver annunciato la tragica notizia.
Negli anni 80 la sua passione si indirizzò soprattutto su band come The Fall e The Smiths, mentre ad imperversare nelle charts erano band destinate tutt’altro che a durare nella storia del rock. Negli anni 90 sono passati sotto la sua “investitura” anche il rap e la world music, accentuando la sua naturale propensione ad essere sempre “avanti” nell’ambito radiofonico, tanto da guadagnare un posto nella Radio Academy Hall of Fame.
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