di Michele Placido, con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Michele Placido, Luca Argentero
Il Grande sogno, ottava regia di Michele Placido in concorso nell’ultima edizione della Mostra internazionale del cinema di Venezia, è un’operazione pretenziosa, incresciosa e dagli esiti indubbiamente ridicoli.
Riccardo Scamarcio l’ha definito un Jules e Jim di Barletta, ma sono sicura che il caro Truffaut sta ancora rivoltandosi nella tomba pensando ad un tale accostamento.
Questo perché l’ultima fatica di Placido – oggetto tra l’altro di un’animata querelle con il Ministro Brunetta – ha a che fare con l’opera del massimo esponente della Nouvelle Vague francese quanto ne ha con il ’68. Certo, al centro della storia c’è un triangolo, ma la triade Libero – Argentero (sempre più bravo), Nicola – Scamarcio, Laura – Trinca nulla ha che vedere con Jeanne Moreau, Oscar Werner e Henry Serre. Nel film del regista di origini pugliese, personaggi piatti, dalla scarsa personalità e dalle psicologie poco esplorate vengono schiacciati dai comprimari molto più convincenti e verosimili. Mentre lo scarso lavoro di scrittura lascia lo spazio ad un lavoro che utilizza il ’68 solo come pretesto, senza interrogarsi minimamente sull’anima più profonda di un’epoca che ha segnato l’Italia e un’intera generazione di ex ragazzi nel mondo.
Qualche buona intuizione registica non di certo può salvare un’opera per il resto, sinceramente ridicola. A partire dai protagonisti: Libero, il leader del movimento studentesco, come da copione bello, tenebroso e strafottente, figlio di NN e di madre comunista e solo per questo segnato – a quanto ci dice il film negli stramaledettissimi titoli di coda – a una carriera da clandestino in Francia perché condannato per terrorismo (chissà poi perché, manco fosse una fine obbligata per i leader studenteschi dell’epoca); Laura, bruttina ragazza borghese dall’aria di chi è cresciuta a pane, buone maniere ed azione cattolica che – nell’ottica superficiale di Placido – emancipa la propria vita unicamente dal punto di vista sessuale leggendo la De Beauvoir e dividendosi tra Libero e Nicola (che ama però poi ha un figlio con l’altro) e infine Nicola, alter ego di Placido (l’ha detto lui in una dichiarazione dal Lido), poliziotto fessacchiotto che ama il cinema e il teatro e che dopo i fatti di Valle Giulia lascerà il Corpo per l’Accademia.
Solo sullo sfondo, i movimenti studenteschi e il ’68. E allora il Grande sogno del titolo a che si riferisce?? Al fatto che alla fine Scamarcio diventa attore?
Girato tra Lecce, Roma e Los Angeles, il film prodotto dalla Taodue si fregia di non aver ricevuto alcuna sovvenzione statale: tutta fatica di Placido, 101 minuti di noia pura che ha preteso, forse involontariamente, di risolvere l’animosa questione pasoliniana di con chi stare (se con i poliziotti o con gli studenti) rispetto ai moti studenteschi sessantottini.
Placido sembra strizzare l’occhio al poeta e cineasta bolognese di origini friulane (“Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità”) ma a ben guardare, è soltanto pulviscolo che gli annubila lo sguardo. Anche di fronte a tale questione il regista pugliese è incapace di prendere posizione. Non sta con gli studenti che son tutti piccolo borghesi ma neanche coi poliziotti – anche se la sovrapposizione tra il suo vissuto e quella di Nicola è piena – perché il suo eroe alla fine lascia tutto per il teatro. Forse sta con l’arte, ma quest’ultima si guarda bene dalla sua compagnia.
A dispetto di ciò, Placido continua con accostamenti con film d’indubbia levatura artistica, a partire da The Dreamers di Bertolucci (che nel 2003 ha rivisitato in chiave intimistica lo stesso periodo storico). A proposito del suo “Il grande sogno” ha detto: «Avevo iniziato a lavorare a questo progetto con lo sceneggiatore Angelo Pasquini fin dal 2003, ma quando uscì The Dreamers di Bernardo Bertolucci pensai di sospendere la ricerca e la scrittura, convinto che fossimo stati “bruciati” sul film. Dopo aver visto quel film abbiamo capito che non andava ad intaccare tutto quello che avevamo pensato fino ad allora: Il Grande sogno sarebbe stato (ed è) diverso dall’estetismo geniale di Bertolucci, ci aggiriamo piuttosto – con la dovuta modestia – dalle parti di un altro film epocale come C’eravamo tanto amati di Scola, contando sulla presa emotiva e sull’identificazione dei nostri spettatori più giovani». Con la dovuta modestia, per l’appunto.
Autore: Michela Aprea