Georges Laurent è un esponente entusiasta della classe colta borghese parigina, vive in una splendida casa, ha una bella famiglia, un lavoro appagante e amicizie stimolanti. La sua esistenza scorre in modo ordinato e tranquillo finché quella vita perfetta della quale crede d’essere l’indiscusso padrone, non diventa oggetto d’interesse anche per qualcun altro. Qualcuno che con una videocamera nascosta riprende attimo per attimo le giornate della famiglia Laurent, qualcuno che li spia senza un evidente motivo.
Chi? E perché? Questo è il mistero che si insinua nella mente di Georges, il nodo da sciogliere. Un nodo che a quanto pare si riallaccia al suo passato e che lo spinge ad intraprendere un viaggio che lo riporta ad un’infanzia lontana e rimossa, un percorso che scava nella sua coscienza fino a trovarne il fondo e, non è il caso di mettersi comodi perché questo viaggio ci riguarda e ciò che scopriamo durante il tragitto non è piacevole né confortante. Quando Georges affronta il suo presunto nemico, l’algerino Majid, la sua violenza ci lascia interdetti perché sappiamo che c’è qualcosa di sbagliato, che una tale ferocia non dovrebbe appartenere alla vittima ma al carnefice. Ma Laurent abita nel lato giusto del mondo, è un occidentale colto, benestante e ha l’arroganza di chi crede che questo gli riservi il diritto di denigrare e fare scempio della vita di chiunque intacchi la sua tranquillità. Majid diventa così, solo un immigrato fallito che vive dal lato sbagliato della sua personale barricata, un episodio rimosso dalla sua coscienza che deve essere eliminato prima che possa arrecare danno alla sua vita esemplare. Eppure la rottura a questo punto è già avvenuta, ciò che è fatto non può essere semplicemente cancellato, il senso di colpa mal celato da Georges lo lacera intimamente logorando i rapporti con coloro che lo circondano. Un senso di colpa che condividiamo, o meglio, che Haneke ci obbliga a condividere attraverso riferimenti politici espliciti e a volte fin troppo evidenti. La coscienza scossa del protagonista diviene così quella di una nazione, la Francia, che rivive il dramma algerino e si interseca con le immagini della guerra in Iraq, del terrorismo islamico di un presente che affonda le radici in un passato dal quale, noi europei, non siamo stati capaci di imparare. Il film è una sorta di specchio dove, così come Georges è obbligato a guardare la sua vita attraverso le videocassette di uno sconosciuto noi siamo obbligati ad osservare le contraddizioni di una società occidentale che ci da i brividi, ma dalla quale non riusciamo a prendere le distanze.
Come in altri lavori, Haneke ci ferisce, ci spinge ad una dolorosa riflessione. Ma qui, si ha a volte la sensazione che tutta la sua ferocia sia puramente provocatoria e non colpisca sempre nel segno. Che i riferimenti alla nostra coscienza sociale siano forzati e a volte banali e, soprattutto, che nel finale mancato ci sia quasi una resa da parte dell’autore. Se è vero, infatti, che un finale aperto lascia al pubblico la libertà e la responsabilità di fare le proprie scelte, di trarre le proprie conclusioni, qui pare che Haneke non voglia sbilanciarsi, che dopo aver posto le domande non riesca o non voglia dare alcuna risposta e, al contrario di coloro che guardano il film, lui sembra esitare, sembra rifuggire la responsabilità di dover compiere, a sua volta, una scelta.
Autore: Veronica Di Grazia