I Cigarettes After Sex sono stati uno dei debutti fenomeno più sorprendenti di questo ultimo decennio musicale. L’album di debutto omonimo ha venduto più di 550.000 copie, ottenuto oltre 360 milioni di stream su Spotify, 2,2 milioni di ascoltatori mensili e 350 milioni di stream su YouTube. Artisti quali Taylor Swift, Kylie Jenner, Lana Del Rey, Françoise Hardy, Lily Allen, Busy Philipps si sono espressi con grandi lusinghe verso la band Greg Gonzalez, leader e chitarrista, di Jacob Tomsky (batteria) e Randy Miller (basso) (Phillip Tubbs, il tastierista, ha lasciato l’anno scorso). Perciò, il loro secondo album, Cry, uscito il 25 ottobre su etichetta Partisan, è molto di più di un attesa. Le aspettative erano alte, e bisogna dire che in parte sono state deluse.
Cry, auto-prodotto e curato da Gonzalez e mixato da Craig Silvey (Arcade Fire, Yeah Yeah Yeahs), è un album notturno, suggestivo, che risente delle atmosfere sicuramente sognatrici della villa di Maiorca dove è stato registrato di notte. E’ seduttivo, molto romantico, evanescente, sfumato. Ma è anche terribilmente lento e monocorde. Più ancora dell’omonimo esordio, in cui già si avvertivano questi difetti. Ma se nel primo disco la chitarra definiva dei riff totalmente dream pop, e la batteria scandiva dei ritmi (non forsennati ma pur sempre ritmi) in Cry la chitarra riverberata diventa eccessiva, e la batteria sfuma in monotoni ripetitivi, al punto che le canzoni sembrano tutte troppo uguali.
Heavenly, trasmesso in anteprima come ‘Hottest Records’ dalla BBC Radio 1 e da Sirius XMU, è certamente il singolo di traino: Gonzalez descrive il brano come “qualcosa ispirato alla bellezza travolgente che provai guardando un tramonto infinito su una spiaggia isolata in Lettonia, durante una serata estiva…”. Ed è vero, ed è anche il pezzo dai riff di chitarra più definiti e suadenti: ma proprio per questo assomiglia troppo a Sweet, del primo disco.
D’altronde, inutile ripeterlo, è questo il difetto principale dei Cigarettes: la eccessiva monotonia delle trame musicali. In Don’t let me go, la prima traccia, il ritmo è addirittura più lento, la chitarra arpeggia suadente, ma il mood è da anni ’50. Kiss it off me sembra la replica del primo pezzo, mentre un riff più dream pop, di quelli in cui i Cigarettes sembrano essersi specializzati, si ascolta in you’re the olny good thing in my life, ma la batteria è ancora lenta. Per sentire una canzone ritmata bisogna arrivare a Touch, la cosa più vicina a una canzone puramente pop (forse anche troppo) che i Cigarettes abbiano fatto in due anni, ma che alla fine finisce per spiccare nel disco proprio per la sua semplicità e immediatezza. Hentai di nuovo rallenta il ritmo, e non aggiunge nulla a quanto già sentito, come del resto anche Falling in Love, e Cry, la title track, mentre almeno in Pure si sente Greg tentare un canto diverso, ancora più androgino e quasi sussurrato del suo solito. Ma si tratta di sfumature su una trama che è sempre uguale. E’ come sentire ripetere per 9 tracce (aggiungeteci anche quelle del primo disco) Falling, la indimenticabile colonna sonora della serie Twin Peaks: lo stile è quello, struggente, onirico, ma non ascoltabile a ripetizione continua (e peraltro senza la voce indimenticabile di Julee Cruise).
In pratica, Gonzalez e soci ribadiscono in Cry l’assoluta fedeltà, a dir poco maniacale, allo stile del disco d’esordio, dal tipico stile di colonna sonora. Ed è lo stesso Gonzalez ad accostare il sound del disco a un film:“Fondamentalmente vedo questo album come un film. Girato in questo posto esotico ed incredibile, il video mette insieme tutti questi personaggi e queste scene diverse fra loro, ma alla fine tratta di amore, bellezza e sessualità. È un racconto molto personale di cosa significano queste cose per me.”
Persino i testi sono monocordi: Gonzalez si è lasciato ispirare dall’amore di una nuova relazione, e dai film di Éric Rohmer, e tutto il disco parla di amore e delle sue sfumature. Romantico fino all’estremo, potrà essere goduto a pieno soltanto da chi ha amato i Cigarettes dal loro primo pezzo, perché la cifra stilistica è preservata in maniera integrale. Troppo.
autore: Francesco Postiglione