Con la backing band formata dall’altro ex Sonic Youth, Steve Shelley, dall’ex My Bloody Valentine Debbie Googe e da James Sedwards (Nøught), Thurston Moore ha trovato una nuova giovinezza. Con questo lavoro ha raggiunto l’apice che aveva toccato con i Sonic Youth degli anni ’90, infatti viene evocata la gioventù sonica più psichedelica lasciandosi andare a sperimentazioni e dilatazioni rumorose con una base melodica che rende meno ostico il sound.
L’esperienza SY è, purtroppo, irreversibilmente conclusa quindi dobbiamo farcene una ragione anche se è un lutto che stentiamo ad elaborare per cui è inutile guardare al passato ma bisogna guardare al futuro che il nostro riesce a rendere roseo. Tuttavia se Moore fa un disco che evoca la sua vecchia band si torna inevitabilmente a fare i conti con i “fantasmi” del passato. Sia chiaro che non sono discorsi fini a se stessi, perché la difficoltà nel valutare un lavoro di questo tipo sta proprio nell’amletico dubbio se va confrontato o meno con i lavori della band newyorkese.
Se Kim Gordon continua sulla strada della sperimentazione e Lee Ranaldo si sente libero di esprimere a tutti gli effetti la sua aspirazione pop, ovviamente estremamente colto, Moore è in qualche modo la sintesi di queste due posizioni.
In questo lavoro, infatti, sono presenti entrambe le caratteristiche prevalenti nei suoi ex compagni, anche se Debbie Googe ha portato parte dell’eredità dei My Bloody Valentine, ma quando come in “Turn on” Moore e band si lasciano andare a stop’n’go, ora aperti, ora essenziali, c’è poco da fare quello è tutto materiale che lui ha suonato per decenni con i Sonic Youth. D’altronde anche le fughe e le salite psichedeliche che dominano i sei minuti di “Smoke of dreams” sono il marchio di fabbrica di Moore, in questo caso quello che più o meno indirettamente ha subito il fascino di Neil Young. I cambi di registro stilistico prevalgono nella più che variegata “Aphrodite” e la ritmica funky ossessiva accelerata e circolare di “Casp” è ispirata direttamente dagli U2 del periodo “The Joshua Tree”.
In conclusione il disco si ascolta con piacere perchè coraggioso che da al nostro la forza di continuare a fare ciò che sa fare meglio, senza rinnegare nulla, valorizzando e portando novità alle sue competenze di musicista sperimentatore.
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autore: Vittorio Lannutti