Come ormai d’abitudine, e sull’esempio dei norvegesi Motorpsycho, i Verdena utilizzano questi mini-CD, pubblicati tra un album e l’altro, per mettersi alla prova con esperimenti e idee che non potrebbero trovare spazio sui CD ufficiali senza lasciare perplessa l’ala più conservatrice ed innocente dei loro fan, malgrado spesso queste tracce si rivelino poi indicative delle evoluzioni musicali che potranno esserci nel futuro dal quartetto bergamasco. Qui ci sono 6 tracce, di cui la prima è il raffinato singolo ‘Caños’, estratto dal recente album ‘Requiem’ uscito in Primavera: si tratta di una ben arrangiata canzone semiacustica, morbida ma non troppo, dai suoni ricercati, che gronda psichedelia californiana da ogni parte; stesso discorso per ‘L’ora è Buia’, canzone che ricorda gli esordi del gruppo, ma in cui s’insinua un inedito pianoforte suonato da Roberta, ormai notevolmente cresciuta come musicista. I Verdena, in effetti, sono ormai un gruppo rock evoluto e maturato, rispetto agli istinti grunge e stoner degli esordi, quando dichiaravano in ogni intervista la loro passione per l’hard rock anni 70 e per i Cream in particolare, ma non avevano ancora le capacità per concretizzare certe idee. Ora le cose sono cambiate, e Alberto Ferrari e soci si espongono con composizioni coraggiose e ricerca sui suoni. ‘Malaga’ e ‘Parabellum’, malgrado l’inconsistenza, sono due coraggiose schegge in cui sotto la verniciatura degli strumenti si cela per la prima volta una base elettronica: la prima è un breve studio su suoni algidi che ricorda certe ‘spore’ dei Marlene Kuntz, o certe intuizioni visionarie di Aphex Twin, la seconda è un ‘taglia e incolla’ con bozze sonore e sampling del compianto D.Rad, ex Almamegretta, scomparso prematuramente in un incidente a Milano due anni fa; Luca vi suona sopra una drum machine e Alberto l’acustica mentre canta in inglese. ‘His latest Name’ invece è una canzone pop non loro ma di Elvis, eseguita con umorismo, in lingua inglese, e in essa ancora le chitarre acustiche si mischiano a quelle elettriche con un approccio sixties che mi fa pensare ai Kinks, ai contemporanei The Coral, magari a ‘Diyer Maker’ dei Led Zeppelin’. La traccia più interessante però, malgrado poco compiuta, è ad ogni modo la conclusiva ‘Fluido’, oltre i 6min30sec. Chiaramente un esperimento acido, abbastanza in linea con le composizioni deliranti del loro secondo album ‘Solo un Grande Sasso’ del 2001. Qui emerge per un attimo la sopita passione del trio per le jam di gruppo. Il dischetto, nel complesso, non appare certo imperdibile: alcuni episodi senz’altro funzionano, ma l’eterogeneità tra le varie tracce è molta e ne fa una sorta di quei CD contenenti ‘b-sides’ o materiale postumo, e così ‘Caños’ interesserà probabilmente i completisti e basta.
Autore: Fausto Turi