Il concetto chiave contenuto nel titolo del nuovo album di Gnut, che del resto emerge un po’ in tutti i nuovi brani sotto forma di stato d’animo diffuso, è un invito a prendere coscienza della fugacità dell’esistenza, e dell’urgenza di riconoscere le cose che davvero contano nella nostra vita per essere felici concentrandoci su di esse, dandogli spazio, in qualche modo ‘intenzionandole’, senza che questo richieda chissà quale sforzo concettuale ma semplicemente facendo pulizia del superfluo, perché – come il cantante e chitarrista Claudio Domestico spiega al pubblico prima di eseguire il brano omonimo nei concerti della tournèe nazionale in corso in questi mesi per promuovere il disco – le amarezze, quelle non mancano mai purtroppo nella vita, e dunque prendiamoci il bello, quando è possibile, come un dono fatto a noi stessi ed agli altri: “prenditi quello che meriti e dona a chi merita quello che puoi”, ripete più volte il ritornello.
Prenditi quello che Meriti segna un cambio di rotta rispetto al precedente intimista e notturno Il Rumore della Luce (2012) – disco indipendente di buon successo che a questo punto è destinato forse a rimanere un episodio un po’ a sé stante nella discografia di Gnut non solo per lo stile musicale in sottrazione ma anche per il malessere profondo ed il senso di spaesamento di un momento esistenziale di passaggio e distacco in cui la canzone si faceva quasi medicina dell’anima – tornando tutto sommato ora verso gli standard espressivi soul mediterranei, blues e folk rock di lavori precedenti tipo DiVento (2008) e dunque Claudio Domestico si apre di nuovo maggiormente al contributo di altri musicisti, in uno sviluppo corale armonioso, equilibrato e dai contorni pop ed anche a volte giocosi.
‘Non è Tardi’ e ‘Dimmi cosa Resta’ sono brani folk musicalmente snelli e concettualmente profondi, prevalentemente acustici, puro stile Gnut, ‘Solo una Carezza’ è un tragico blues tra strofe in italiano e ritornello in napoletano, ‘Universi’ ha un carattere quasi epico ed è l’episodio forse musicalmente più articolato anche in termini d’arrangiamento, con un importante contributo dei fiati che sembrano provare a soffiare via la patina di negatività dalla vita, e poi nel disco ritroviamo tanto soul sempre nel caratteristico stile indolente mediterraneo di Claudio Domestico, prima di tutto in ‘Fiume Lento’ ed in ‘Foglie di Dadgad’, infine nel fulminante tradizionale napoletano intitolato ‘Passione’, inciso qui in una versione spoglia, rigorosa, filologica, messa in coda al disco probabilmente perché davvero episodio a sé stante; in ‘Ora che Sei’ avvertiamo tanta verità sotto forma di un’accorata lettera, a confermare una tipicità umana: cioè che il sentimento travalica l’assenza fisica delle persone, brano che fa idealmente coppia con lo spiritual tradizionale americano intitolato ‘Motherless Child’ che Gnut esegue spesso di recente dal vivo e che su questo disco non c’è.
Con questo disco pubblicato dall’etichetta torinese Inri ci sentiamo ormai di annoverare Gnut tra i più importanti cantautori italiani di provenienza indipendente del momento, con un repertorio molto valido ed una dose di coerenza e semplicità che se può aver reso più difficile sinora il suo percorso per emergere e farsi ascoltare, gli dona tuttavia un’immagine che piace al suo pubblico e che lo allinea perfettamente a ciò che canta.
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autore: Fausto Turi