Non saprei dire se il Kronos Quartet sia il quartetto d’archi più conosciuto al mondo ma di certo lo è per chi generalmente non ascolta la musica che generalmente suona il Kronos Quartet e lo ricorderanno bene quelli che nei primi novanta frequentavano i negozi di dischi esoterici.
Quarant’anni di musica sono un bel pezzo ma – come allora – ascoltare un lavoro del quartetto significa ascoltare musica senza tempo ed oltre il tempo.
Saranno quelle affinità ascensionali con i padri Reich, Glass e Cage, sarà quell’attitudine sperimentale che fa sembrare sempre un po’ più giovani di quel che si è o sarà più banalmente l’aria di Frisco – buone tutte e tre le ipotesi – ma ci sono dei fatti che ancor di più affermano lo spirito dei Kronos, come il volersi affidare ad un compositore piuttosto giovane per loro, classe 1976, ma non uno qualunque, bensì Bryce Dessner, il chitarrista dei The National.
Questo è successo per la prima volta nel 2009 con Aheym – titolo che inaugura anche questo four-piece – allorquando David Harrington chiede al giovane compositore un brano per il festival Celebrate Brooklyn!, brano che trasuda cultura yiddish come una menorah davanti ad una sinagoga e rivela di quella storia i caratteri salienti del dramma e della violenza, teso e nervoso com’è nel suo formato austero. Parlare di minimalismo in tale maelstrom è quantomeno riduttivo.
Little Blue Something, la seconda traccia, si avvicina apparentemente di più alla ‘musica da camera’, ma la qualità della composizione di Dessner è ancora pregna di quella esasperata tensione esistenzialista così descrittiva delle ombre che quel ‘popolo’ si porta dietro da sempre.
Tenebre, contrariamente al suo titolo, è forse la traccia meno intrinsecamente oscura del lotto e può essere metaforicamente associata ad un’idea di percorso che – per quanto intricato e combattuto nei panegirici del Quartet – tende alla ricerca – in quei vocalizzi eterei – della luce o di qualcosa che la evochi.
L’ultima traccia, Tour Eiffel, decisamente chiesastica nel suo incipit, dona l’emozione ancestrale di un coro di voci bianche in una cattedrale e la delicatezza degli strumenti extra-quartet (chitarra, piano..) è spiazzante a questo punto del disco. La luce è stata trovata.
Non bisogna pensare ad Aheym come ad un’opera politica o storica o di denuncia come possono essere stati interpretati certi lavori di Zorn, qui non c’è questo intento.
Musica come questa ha una forza così grande da travalicare il senso comune ed a volte lo trascende.
www.brycedessner.com
www.kronosquartet.org
autore: A. Giulio Magliulo