Marissa Nadler giunge al suo undicesimo disco, The Path Of The Clouds, per etichetta Bella Union/Sacred Bones, consacrando il suo stile e il legame musicale che la unisce ai due grandi mostri sacri femminili del genere folk, Joan Baez e Joni Mitchell, la prima delle due peraltro statunitense proprio come la Nadler.
Nadler ha tuttavia interpretato nella sua carriera il folk sempre a suo modo, e possiamo tranquillamente definirla una esponente illustre del post-folk: ama infatti variare, e alla consueta chitarra e voce a volte alterna, anche in questo disco, chitarra e strumenti, anche batteria a volte, e ricordiamo che in Strangers, ottavo album, ha esplorato anche l’elettronica, anche se poi nel successivo For My Crimes è tornata alle ballate da brughiera che meglio la caratterizzano.
In The Path of the Clouds Marissa varia ancora: abbiamo canzoni senz’altro folk, ma più ritmate, e più ricche di strumenti. Tuttavia il sigillo della sua voce sussurrata che disegna atmosfere più che gridare ad alta voce conferma che si tratta di variazioni all’interno di uno stile ben consolidato, che la rende oramai un “classico” del genere.
Le canzoni di questo disco sono quelle che dal punto di vista dei testi rappresentano la maggiore variazione rispetto al solito: come molti, anche lei, intrappolata dal Covid nel 2020, si è chiusa nello scrivere, e ne sono usciti 11 pezzi che parlano di metamorfosi, misticismo, anche assassinio, e naturalmente, amore. Invece di essere esplorazioni intime, stavolta i testi raccontano storie, spesso di protagonisti diversi dall’io melodico di Marissa.
L’ispirazione per queste storie è derivata da un libro letto nel 2020 “Unsolved Mysteries” che ha ispirato in particolare il primo bellissimo singolo, Bessie, Did You Make It?, quasi un giallo in musica, o per esempio la title track, che racconta delle imprese del dirottatore di aerei D.B. Cooper.
Durante la pandemia ha imparato anche a suonare il piano, componendo quindi alcune delle canzoni al piano e non con la sua fedele chitarra acustica. Le strutture di base dei pezzi, scritte a casa, sono state poi sottoposte ai suoi fidati collaboratori/trici Mary Lattimore e Simon Raymonde, bassista dei Cocteau Twins. Inoltre come sempre Marissa si avvale di contributi preziosi: Milky Burgess e il suo insegnante di piano, Jesse Chandler, che si ricorderà come membro dei gloriosi Mercury Rev, e soprattutto Emma Ruth Rundle, sua compagna di scrittura, che ha contribuito all’assolo su Turned into Air, e Amber Webber che duetta alla voce in Elegy.
Musicalmente, The Path of the Clouds mostra la qualità elevatissima dell’artista al picco della sua espressività raggiunta dopo 20 anni di carriera come cantautrice. Il disco contiene ballate classiche a cui una folk-singer come lei ci ha ampiamente abituato, come Bessie Did You Make It?, From Vapor to Stardust, Turned into Air, Lemon Queen, introdotte da arpeggi suadenti di chitarra e sussurrate alla voce, ma anche blues di chitarra elettrica con trame anche complesse di batteria come If I could Breathe Underwater, The Path of the Clouds, Couldn’t Have Done the Killing, o momenti lirici al piano elevatissimi e ispirati come Elegy, e infine pezzi dream pop come Well Sometimes You Just Can’t Stay, Storm, e persino una rock-ballad progressive ipnotica alla Pink Floyd come and I Dream of Running. E’ per questa varietà di stili, eseguita in ogni pezzo con la massima attenzione e passione, che l’undicesimo disco di Marissa si candida a essere uno dei suoi più belli, più complessi, più evoluti, più rappresentativi del suo camaleontico muoversi tra i generi.
Un autentico capolavoro insomma, per palati non facili.
www.marissanadler.com/
www.facebook.com/MarissaNadlerMusic
autore: Francesco Postiglione