Il verbo del sacro fuoco stoner in Italia ha fatto breccia nel cuore di moltissime band. In molti dunque hanno giocato al, perdonatemi la parafrasi, “volevamo essere i Kyuss”. Tuttavia, in pochissimi si sono contraddistinti per la loro efficacia. Tra questi ci sono sicuramente i genovesi Temple of Deimos, che esordiscono sulla lunga distanza. Il trio, fondato dal cantante/chitarrista Fabio Speranza, è nato dalle ceneri dei White ash più propenso al grunge. La riuscita dell’attuale formazione è perfettamente parallela a quella del gruppo di John Garcia e soci, dato che partendo da alcuni spunti grunge i tre artisti liguri si sono decisamente verso il rock del deserto, con solide radici nel hard rock dei ’70 anglo-Usa.
Il cd parte con l’esaltante “Supertransistor” un hard-stoner non impetuoso, ma possente. A seguire “It’s beautiful when I die”, che è la prima di una manciata di canzoni che rivelano le evoluzioni che avrebbero dovuto intraprendere i Quenns Of The Stone Age. “Fields of berries” e “We don’t know” hanno un impatto sanguigno, grazie soprattutto alla base ritmica del bassista Federico Olia e del batterista Andrea Parigi, che dimostrano che non c’è né per nessuno.
Una vera e propria macchina schiacciasassi. Con “Ipnotic impression” i tre liguri si spostano verso sonorità dal sapore leggermente psichedelico, ma mantenendo sempre una struttura greve, senza perdersi in inutili rivoli. In “Gulp me now” ospitano alla voce il produttore David Lenci, le cui corde vocali non si discostano molto da quelle di un Lanegan intriso di fumo ed alcol.
Ottimo esordio per una band che se non sapessimo quali sono le sue radici la potremmo tranquillamente confondere tra quelle nate nel deserto californiano.
Autore: Vittorio Lannutti