Uno degli atteggiamenti snob più inveterati dei musicofili sedicenti attenti? Il b-side. Che è sempre migliore (sottolineo “sempre”) del brano che dà il nome al singolo. La “riserva”, il “riempitivo”, meglio del “titolare”. A volte però è proprio così. Altrimenti come farebbe tale “posa” ad alimentarsi? E ciò è proprio quanto accade nel singolo di questo quartetto bresciano (e apro un’altra finestra: “singolo di un gruppo italiano” – apparentemente l’ultima cosa in ordine di importanza, e di voglia, che ci verrebbe da ascoltare – e poi ti accorgi che ne valeva la pena…), estratto dall’album “Draw a Line”.
La title-track “poppeggia” senz’anima, e a poco serve, verso metà brano, quella chitarra a un tempo lancinante e “frastagliata” (‘Airbag’ dei Radiohead, ricordate?). Un fugace sguardo oltremanica, ma i piedi ben piantati qui nello stivale. Ma d’altra parte, cosa sono spesso i singoli se non delle teste di ponte nel business dei circuiti commerciali? “Ci siamo anche noi”, sembrano voler dire gli Empty Frames. Ma l’effetto è debole, anche sul piano dell’orecchiabilità.
Ben più sapore in bocca ci lascia il b-side (il brano che, si sarà capito, meriterebbe la menzione di cui al titolo: ‘No Meaning, At All’): volutamente sporco nella resa della voce, intenso, emozionale, vivo. Melodia, pausa, ripresa, ancora pausa, caricamento, scarica finale. Quasi a livello dei migliori dEUS (siano stramaledetti per aver mollato). Ciò che il pop, a certe condizioni, da solo non può.
Autore: Roberto Villani