Mentre i trevigiani Dogs in a Flat, dalla formazione allargata a 7 elementi, sono a quanto pare già in procinto di pubblicare un nuovo, terzo disco, ci soffermiamo su questo secondo Days before the Robbery, dalle atmosfere alt folk elettroacustiche e dai testi in lingua inglese, pubblicato dalla sempre coerente etichetta Go Down.
Il disco è filologicamente solido, ben rappresentativo di quell’America provinciale, rurale, marginale, sonnolenta, fatta di grandi spazi vuoti, e che ci piace molto più di quella massimalista e fanatica; l’America minore che qualche volta ci chiediamo se esista davvero o sia solo funzionale ad una narrazione musicale e cinematografica che ad ogni modo ha fatto storia, nel 900 ed ancor oggi: pensiamo ad un film come Into the Wild, ai quadri di Hopper o a dischi come The Ghost of Tom Joad; e qualche sbavatura qua e là, ad esempio nella pronuncia anglofona o in passaggi un po’ laccati, non rovina certo il lavoro, che prosegue spedito su testi cantati a più voci maschile e femminile secondo una buona tradizione folk rock, arrangiamenti elettrici semplici efficacemente arricchiti dal violino e buona scelta dei suoni e soprattutto delle armonie che sostengonoi ritornelli.
Il disco, della durata di 43 minuti, trova un bel momento nell’attimo poeticamente narrato dalla brava Elena Scarpulla in ‘Sam Radio Star‘, e nella sopraffina ‘Diamond Age‘, o nell’idealismo del testo di ‘Steel Horse‘; ci sono poi cose tra il classico vaudeville ed il country Nashville sound, ed è emblematica in proposito ‘Broken Bones‘, che ha anche una spinta ironica, mentre al contrario coltiva l’indolenza della provincia il brano conclusivo intitolato ‘Shine’.
La peccaminosa ballata intitolata ‘Peggy’s Night‘, tra le cose più riuscite, ci fa pensare a certe cose del Lou Reed di Coney Island Baby, in un disco bello ed imperfetto.
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autore: Fausto Turi