Penultimo capitolo della saga dell’enfant prodige Casey Crescenzo che avvicinandosi all’epilogo chiarisce sempre di più il motivo delle polemiche scatenate nel mondo dei cultori puristi del prog nonostante questa lunga storia sia per concept progressive fin nel midollo. Ultimo capitolo invece per quanto riguarda la forma, perché del VI capitolo che chiuderà il tutto non ne sappiamo assolutamente nulla, come crediamo sia per lo stesso Casey che ha solo annunciato che dovrebbe essere qualcosa di radicalmente diverso.
Saranno le tantissime divagazioni dal rock a far si che l’opera si configuri con dei tratti caratteristici molto simili ad un musical, elementi ancora più apprezzabili rispetto al precedente Act IV: Rebirth in Reprise (e a proposito di reprise, in The March si richiama il tema di The Old Haunt che del capitolo precedente era tra le tracce migliori).
Che nel ragazzo ci fosse del genio lo si era già capito da tempo e a parte il limite – di non poco conto – della prolissità (se non lo fosse, il suo range espressivo sarebbe sicuramente ridotto), perfino certi estremi barocchi vengono ora meglio compresi.
Persiste dunque quella componente Steely Dan dalla quale The Dear Hunter mutua il gusto del pop adulto e dell’arrangiamento perfetto, abbondano le tracce in cui la band sembra volersi abbandonare ai più sognanti tra i moderni songwriter alternativi ma ci sono anche momenti in cui fanno capolino i più oscuri Floyd di mezzo, gli Arbouretum più ispirati e dello swing anni ’50. Non vi inganni dunque la grande godibilità (lunghezza a parte) delle tracce: questo è prog con tutto ciò che il genere nel bene e nel male comporta.
http://thedearhunter.com/
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autore: A. Giulio Magliulo