L’alternative country non è propriamente un genere cardine della nostra cultura musicale. Ne è patria, come tutti sanno, l’America. Eppure ogni tanto qualche gruppo riesce a scardinare la cortina che separa gli States dalla vecchia Europa, e quando a riuscirci è un gruppo italiano non possiamo che esserne contenti. Nel 1999, infatti, con “Cold morning songs” (pubblicato dalla MoodFood Records, sostituendo i Whiskeytown di Ryan Adams) i Satellite Inn. si fecero molto apprezzare oltreoceano tanto da partecipare a molti importanti festival di musica indipendente americani come il CMJ e il SXSW e dividendo il palco con artisti del calibro di Dirty Three, Califone, Piano Magic e Howie Gelb. E dopo sette anni di silenzio, il duo romagnolo (Stiv Cantarelli, voce e chitarre e Dario Neri, batteria piano, organo, lap steel, banjo e armonica, più il violoncellista Riccardo Bacchi in un paio di canzoni) torna in studio e rilascia “In the land of the sun”, titolo che rimanda direttamente al genere, pubblicato dalla Urtovox. Con quest’album la band si sposta un po’, però, dalle sonorità che l’avevano caratterizzata precedentemente, dando un tocco leggermente meno country in senso stretto, e strizzando l’occhio ad altri generi forse anche in modo da allargare lo spettro dei consensi, o forse solo per il puro gusto di sperimentare.
Fatto sta che questo “In the land of sun” mantiene una veste intimistica e romantica (ascoltate “Last summer day”) e si propone a mo’ di concept album, dove il minimalismo delle vite quotidiane e proprio la vena intimistica fanno da filo conduttore.
“The Hard Ground” è l’esempio di quello che dicevamo prima, cioè la virata verso altri luoghi, in questo caso propriamente rock mentre “Rainy day” con quel banjo iniziale riporta indietro nel tempo, e alcune parti fanno ritornare alla mente il vecchio Beck. A questa segue la strumentale “Arizona”, alla quale, a sua volta, segue “Sauget wind”, younghiana al punto giusto, soprattutto nella voce (qui dove Neil Young è, ovviamente, un costante punto di riferimento, dal quale non si può prescindere per chi sceglie queste strade).
A una troppo marcata ripetitività di fondo, però, fanno da contraltare ottimi spunti che permettono di non perdere il gusto di mettere su il cd e perdersi nelle vaste praterie texane. Ma bisognerà aspettare altri sei anni per vedere cosa germoglierà da questo lavoro?
Autore: Francesco Raiola