Con un solo LP all’attivo (più un disco che conteneva perlopiù dei remix), il messicano Fernando Corona – in arte Murcof – si può già tranquillamente considerare come uno dei talenti più brillanti in ambito elettronico.
Il suo nuovo lavoro, pur muovendosi da intuizioni simili a quelle già sviluppate nel precedente “Martes”, segna – rispetto a quell’esordio – un cambio di registro e di atmosfere.
Corona utilizza lo stesso linguaggio – fatto di affascinanti dialoghi tra strumenti “classici” (suonati, non campionati) e “macchine”, tra linee melodiche e glitch – modificandone il tono. La musica di Murcof, visionaria e immaginifica, ora (rispetto a quanto succedeva in “Martes”) sembra evocare spazi interiori, intimi (la dimensione dei ricordi richiamata nel titolo, ad esempio), piuttosto che far viaggiare la mente dell’ascoltatore tra lande sconfinate e paesaggi lunari (o – se preferite – marziani…). I toni scuri, inoltre, rivelano un mood “nostalgico”, malinconico.
Dal punto di vista strettamente sonoro, Murcof predilige ritmiche sminuzzate e battute lente. Suoni appena accennati, come pennellate fugaci su una tela, e splendidi archi che ci proiettano in una rarefatta dimensione cinematica. Quando invece il beat si fa lineare, il suono è così profondo da richiamare i battiti cardiaci, piuttosto che l’estetica (minimal) techno.
Il merito di Fernando Corona sta nell’aver dato alle sue composizioni una profondità “emozionale” raramente riscontrabile nella maggior parte delle produzioni del genere, negli ultimi tempi tristemente incentrate su di un’auto-referenziale e vacua ricerca della perfezione formale, a tutto discapito del contenuto.
Autore: Daniele Lama