Gli Ulan Bator ci attraggono come qualunque nome francese affascina un cinefilo. Se poi aggiungiamo che col nome della band rievochiamo tutti quei generi che fanno tanto bene alla pronuncia – come kraut rock, post rock, noise rock – allora capiremo perché Amaury Cambuzat & soci abbiano il Bel Paese come meta preferita.
Col trascorrere delle tracce dei singoli album si sono conquistati nemici e amici, estimatori e traditori. Qualcuno dice che non hanno mai preso le distanze dalle loro influenze, qualcun altro suggerisce di riascoltare l’intera carriera della band nata a Parigi. Però, diciamocelo, degli Ulan Bator ci si riempie briosamente la bocca, specie in serate tra intenditori.
Lo facciamo anche ora, parlandovi dell’ultimo disco intitolato “Tohu-Bohu”, che di paesi ne ha visti tanti: dalla Francia agli Stati Uniti, passando per Marocco, Inghilterra e La Sauna, lo studio di Varese dove Cambuzat lavora su dischi propri e altrui.
A sei anni di distanza da “Rodeo Massacre” e poco più di un anno dopo l’anticipazione in formato EP “Soleils”, il disco proposto è un insieme di rumori e melodie. Il mondo che fa i conti con i social network, i sentimenti in formato pixel e le religioni all’ultima moda. Il tutto in un calderone di suoni noti e già cari agli Ulan Bator.
Dieci brani che alternano alla confusione di sonicyouthiana memoria della rumorosa “AT” un canto sacro come quello di “Ding Dingue Dong”. Un’apertura del disco energica e incazzata, una chiusura da ballata in perfetto french style.
Tra gli episodi più riusciti vi è sicuramente “R136A1”, brano strumentale che prende il titolo da una stella della costellazione del Dorado.
La realtà che si scontra con l’onirico, elemento che da sempre avvolge gli Ulan Bator: ecco il tema del bel lavoro. In copertina un riassunto di tutto ciò, nato rielaborando un’opera dell’artista americano Norbert H. Kox.
Che si tratti di originalità o meno (attenzione, siamo all’ottavo disco inedito!), “Tohu-Bohu” può rientrare nella vostra collezione a testa alta. Non fosse altro che per il marchio di fabbrica.
Autore: Micaela De Bernardo