Un forsennato cabaret art-jazz tinto di noir. Sono queste le immagini che portano subito alla mente le canzoni di “Keep Calm”, nuovo disco dei romanissimi Underdog.
Un banchetto di suoni e istrionismi vocali e musicali. Una mai messa da parte dimostrazione di capacità tecnica e compositiva. Un modo di lavorare ai brani puramente folle, ma al contempo accuratamente lucido.
Una grande dose di maestria musicale permette agli Underdog di fare dischi che sono frustate e la musica è la cinghia che cambia forma continuamente. Evidente l’insaziabile voglia di stupire chi ascolta; infatti al di là del giudizio i romani riescono a scuotere il pubblico con la loro presenza scenica che viene trasportata anche su disco, oltre che essere una loro caratteristica dei live.
Come dicevo all’inizio, infatti, “Keep Calm” rimanda ad immagini che lasciano inventare una New Orleans modernissima, una visione quasi futuristica della città; quella degli Underdog è una corsa musicale che incendia le strade con la mistione di generi che parte dall’idea generale di un jazz avanguardistico e chiaramente nipote del futuro di personaggi come Mingus (una delle loro grandi figure ispiratrici).
Un frullato intenso e spesso violento, come il groove di “Macaronar”; esempio di pura follia che concentra ritmi sud-americani e incursioni che rimandano alla genialità di Mike Patton o Frank Zappa.
Le atmosfere sono quelle che in un film avrebbero rimandato ai club dei sobborghi popolati da freak ambigui e surreali: ascoltando l’album è quasi una certezza che questa sia la loro volontà. Tante spennellate di noir durante l’album, tanta teatralità; per questo rimandabili al cabaret-rock dei forse troppo sottovalutati The Dresden Dolls.
Un supporto tecnico-musicale che non passa inosservato: piano, violini, chitarre, trombone, basso e batteria; ma in questo exploit sonoro poi troviamo l’esplosione di voci che si sovrappongo, si superano, si amalgamano ed esaltano palesemente le loro differenze.
Presentissima anche la decadente oscurità della “squadra” Bad Seeds o di un Leonard Cohen; come nella selvaggia apertura di “Lundi Massacre”, un’inquieta mistione di fusion con deliranti quanto “primitive” sferzate percussionistiche che si incatenano con un cantato misticheggiante. Una tendenza che si ripresenta anche nelle capriole del circo di “Niko” e nelle buie strade neofolkeggianti di “Goodbye”.
Una parentesi alla totale follia è la più “concentrata” e corposa “Soulcoffee” dove è in evidenza la bellissima voce di Baisa.
La band deve molto anche anche ad esperienze come quelle di Primus (sono molti i rimandi a loro) o agli apparentemente distanti Nomeansno e lo si nota soprattutto in un brano come “The Revolution Is Subject To Delay”.
La conclusione di “Keep Calm” ha del magico: l’epilogo affidato a “Berlin” è uno dei momenti più suggestivi dell’intero disco e la voce di Baisa continua a volare sulle note di una band che nel finale diventa un vero e proprio ensemble bandistico.
Gli Underdog in pochi anni si sono confermati fra le band più interessanti e meritevoli della penisola e durante l’ascolto di “Keep Calm” una domanda balenava nella mia testa: “Dobbiamo forse aspettarci la meritata conquista dell’Europa?”.
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