A dieci anni dall’ultimo disco torna a sorpresa Moltheni, con una nuova pubblicazione che fa felici i tanti fan, che pur seguendo i successivi capitoli solisti di Umberto Maria Giardini, ma anche il suo recente progetto Stella Maris, ricordano con affetto speciale quel gruppo che ha lasciato un solco profondo nel rock psichedelico italiano; inoltre, per alcuni fan oltranzisti, le vette creative di Giardini sono da ricercare proprio in quella produzione degli anni zero, in cui erano massime la carica onirica dei testi, e le musiche, amniotiche e avvolgenti.
Senza Eredità contiene 11 brani composti proprio in quegli anni ma mai pubblicati prima d’ora, per quanto facessero talvolta capolino nelle scalette dei concerti; Giardini le ha in parte rimaneggiate o completate, chiudendo in qualche modo un cerchio con questa pubblicazione che per la verità non sa di passato, e che riceviamo come disco nuovo di zecca in grado di ricondurci in quella dimensione lisergica così peculiare ed inimitabile in cui il tempo, mosso da una manovella, si trasfigura nei filmini dai colori saturi della pellicola muta in super 8 degli anni 70, e le storie sono fatte di sentimenti inespressi, dettagli secondari valorizzati dalla poesia, nostalgia per un’infanzia ed una giovinezza mitizzata, spunto per un’autoanalisi che sfocia implicitamente in ciò che il passato ci ha reso oggi; ‘Estate 1983‘ e ‘Nere Geometrie Paterne’, delicatissime e poetiche, sono tra i brani forse meno appariscenti dell’album, ma rappresentano al massimo grado la poetica di Moltheni proprio nel senso cinematografico e psicanalitico appena detto.
E vale la pena sottolineare come la particolare voce di Umberto Maria Giardini ed il suo lirismo dimesso, assieme ai suoni elettroacustici agrodolci parzialmente retrò, creino sovente dei veri e propri mantra, tiepidi e cullanti, che trasmettono tanto a chi riesce a sintonizzarsi, e che rendono Moltheni in realtà un progetto inimitabile; quando Giardini spiega, nelle recenti interviste, di aver voluto intitolare il disco Senza Eredità ritenendo, senza polemica, che la nuova generazione di colleghi non abbia voluto raccogliere quel testimone artistico, sembra non considerare l’estrema difficoltà di un progetto del genere, che è narrativo, si, ma anche e forse ancor più espressivo.
A questo punto però bisogna anche considerare che l’unico limite di Moltheni, forse, se come puro esercizio critico vogliamo divertirci a spaccare il capello, sta proprio in questo: un cantautorato talmente peculiare e cucito sul proprio autore, da divenire pianeta a sé stante, in qualche misura autoreferenziale, ahime respingente per l’ascoltatore generalista abituato a radio rtl 102.5, che per altro, ad un certo punto, finì forse per esaurirsi, conducendo nel 2010, magari per questo motivo, alla fine di quella splendida esperienza, e alla ricerca di nuove strade.
‘Il Quinto Malumore‘ la riceviamo come la nuova ‘L’Età Migliore’, un pelo inferiore, magari, ed almeno di pari livello è ‘La mia Libertà‘, che per qualunque altro cantautore italiano contemporaneo sarebbe vetta assoluta, e che Moltheni invece può permettersi il lusso di conservarla 10 anni in un cassetto per poi relegarla in un disco di outtakes: pazzesco!
Altri brani sono invece meno brillanti, e si comprende che non trovarono all’epoca spazio nei dischi, ma comunque ad ogni modo più che degni di pubblicazione nelle nuove rielaborazioni fatte da Umberto Giardini per l’occasione.
Quando il Covid 19 sarà superato pare che Moltheni partirà in tour per promuovere questo disco, e sarà l’occasione per celebrare anche il repertorio storico della band, e chissà magari vedere sul palco anche alcuni ospiti che hanno suonato nelle 11 canzoni qui presenti: Egle Sommacal (Massimo Volume), Riccardo Tesio (Marlene Kuntz) e Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi).
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autore: Fausto Turi