Alla faccia dei denigratori del pop rock italico, di coloro che vedono nella leggerezza di una canzone il marchio della mielosità tricolore, di coloro che “oddio che c’entrano i synth? Bleah”, ecco, alla faccia vostra esce l’ultimo album degli Epo.
Il gruppo campano, dopo le critiche positive per “Il mattino ha l’oro in bocca” e le peripezie dovute a problemi di etichetta, tornano con un lavoro che, in questi tempi di fame e Sanremo, dà finalmente un po’ di respiro a questo genere.
Gli Epo di Ciro Tuzzi, infatti, confezionano con questo “Silenzio Assenso”, un album intimo ma con la grinta al posto giusto. Se vi aspettate il solito gruppo fotocopia sbagliate. I cinque campani (Marco Conte, Alessandro e Peppe Innaro e Daniele Parancandolo, oltre a Tuzzi) cercano infatti di fuggire i soliti luoghi comuni del rock nostrano, non lasciandosi incantare dalle mode del momento e tirano dritto per la loro strada. Lasciandosi suggestionare, certo, da diverse direzioni, ma non lasciandosene plasmare.
E così le 10 tracce più le 2 bonus seguono un filo unico che si dirama gustoso fino alla fine, anche quando riprendono Catarì, classico napoletano, reinventandola, che sembra lo stesso lavoro che fecero i 24 Grana con Lu Cardillo.
In qualche pezzo sembrano uscire dalla stessa scuola frequentata in questi ultimi tempi dagli Ottoohm di Naif. “In cattività”, “Camera Verde” e “Primo raggio di sole” sembrano voler proseguire il discorso cominciato da Andrea “Bove” Lezzi, mantenendo una freschezza, seppure inquieta, che ci piace, alternativa, per fare un esempio, al pop rock cantautoriale dei Numero 6. Le influenze dichiarate sono Radiohead, Elbow e Beatles, anche se non sempre ne sentiamo la vicinanza, ma a noi va bene così, mentre per quelle italiane, ovvero De Andrè e Battisti, il discorso si sposta più verso la concezione e l’approccio che gli Epo hanno verso la musica.
Altro punto di forza di quest’album, e qui ne diamo atto a Tuzzi, sono le liriche. Intime abbiamo detto, ma mai ombelicali, che tengono botta anche quando il tema è quello, non sempre facile da trattare in poche righe, dell’erotismo, come avviene in Sporco. Collins è eterea, se non ci fossero le parole sembrerebbe leggera, poi senti la richiesta disperata di Tuzzi e capisci.
Anche quando ci si sposta maggiormente verso il rock, come in “Qualcosa è cambiato” l’album fila, anche se, a dirla tutta, preferiamo altri momenti. Synth, drum programming, tecnologia che sembra fare da contraltare alla voce e alle liriche di Tuzzi in Neve, fino a riprendere possesso della canzone verso la fine. Assieme a Catarì, l’altra bonus track è la canzone che dà il titolo all’album, Silenzio assenso, nel quale Tuzzi si riposa, e fa si che sia la musica a chiudere quest’album.
Gli Epo sembrano volere trovare una strada, una e precisa, una forma canzone che sia loro, e in questo “Silenzio Assenso” sembra ci stiano riuscendo. L’album ha un suo filo logico, sia a livello testuale che, soprattutto, a livello musicale. La ricerca è perenne e abbiamo l’impressione che continuerà in futuro. La perfezione non esiste, e lo sappiamo, ma da questo gruppo possiamo aspettarci un futuro niente male.
Autore: Francesco Raiola