Fino a ieri parlavamo degli Zu come di una band – stratosferica, lo ribadisco subito – capace di raccogliere enormi consensi anche, e forse soprattutto, all’estero, segnatamente in quegli stati uniti d’america (sì, oggi ridimensiono un po’ lo zio sam con le minuscole) dove le collisoni tra jazz e rock spandono le maggiori scintille. Oggi l’internazionalità di Pupillo Battaglia e Mai accumula ulteriori punti con la pubblicazione di un nuovo album per un’etichetta d’oltreoceano, la Atavistic, non nuova alla diffusione delle istanze più avanguardistiche di quella musica un tempo monopolio degli afroamericani.
La cosa vi stupisce? Beh, invece sarebbe lecito sorprendersi del contrario. Anche se non li vedremo mai spostare la loro residenza fuori Roma (chi li conosce sa che sprizzano troppa “romanità” per abbandonare la città eterna – anche accaniti giallorossi, come se non bastasse), gli Zu sono praticamente costretti a guardare all’estero per trovare un’etichetta che possa concretamente garantire loro, vuoi col nome e vuoi con una migliore distribuzione (almeno fintanto che una major nostrana non si arrisica a sacrificare la cassa per l’arte), una diffusione adeguatamente proporzionata ai potenziali destinatari delle loro incredibili creazioni.
D’altro canto mi è doveroso sottolineare come quello a cui ho accennato come “nuovo album” risulta essere fattispecie più complessa. Primo perchè i nostri condividono con gli Spaceways Inc. (un trio di dilettanti, più o meno: Ken Vandermark a sax e clarini vari, Nate McBride al basso, Hamid Drake alla batteria); secondo – ed è una conseguenza del punto 1 –, non essendo questo un formato multiplo, la presenza degli Zu è “dimezzata” ad appena 20 minuti e 4 pezzi nuovi; terzo, i nostri tre funamboli hanno il piacere e l’onore di ospitare in line-up proprio Ken Vandermark, riproponendo lo schieramento a “due fiati” già visto in passato con le aggiunte di Roy Paci prima e Eugene Chadbourne poi, e permettendo a Luca Mai di concentrarsi sul solo sax baritono.
C’è dunque un 25% in più su cui gli Zu possono contare, e la differenza si sente: il sound è meno scarno, più “orchestrale” (cacchio, mi sento banale), più avvincente nel “duello” tra fiati, senza tuttavia perdere il sentire greve col quale i tre capitolini da sempre mascherano la loro predisposizione all’umorismo. Valga per tutti questi 20 minuti l’attacco dell’iniziale ‘Canicula’: se morte e guerra vanno a braccetto, quest’incipit può essere il degno squillo di tali infausti eventi – il brano successivo, guarda un po’, si intitola proprio ‘Thanatocracy’. Non si ride, ok, però si gode da pazzi a sentirli – e se potete, a vederli – suonare: bravura e fisicità pazzesche.
Quanto ai tre “dilettanti” di cui sopra, mi duole non poter estenderne qui una dettagliata filologia. Provo piacere nel riscontrare finalmente un nome, in ambito jazz, che peschi dalla fantasia anzichè affidarsi ai soliti anagrafismi tipo “pincopallino n-tet”. Per il resto, accanto alle mie doglianze, lascio tutto lo spazio che le lamentele dei jazzofili anche più settari meritano. Segnalo però come “Radiale” sia per questi tre fuoriclasse l’occasione per cimentarsi in una sorta di tributo a quegli artisti che – presumo – occupano un posto speciale nel loro cuore: Parliament/Funkadelic (‘Trash a Go-Go’ e ‘You and Your Folks’, Me and My Folks’), Sun Ra (‘We Travel the Spaceways/Space Is the Place’) e Art Ensemble of Chicago (quella ‘Theme de Yo-Yo’ di cui avevo colpevolemente omesso la fonte nel trattare del “Fishtank” con Motorpsycho e Jaga Jazzist – repetita juvant). Sicuramente il disco meno adatto per saperne qualcosa di Vandermark e soci. Forse però la prova che agli Zu certi onori non si possono più negare…
Autore: Roberto (o Bob?) Villani