Partiamo da un principio che si può condividere: i bambini dovrebbero andare a scuola, e studiare, e perché no, studiare anche musica, ma pur sempre andare a scuola. Rowan, Robin e Sylvie Siddal hanno rispettivamente 15, 12 e 10 anni, eppure sono già al primo disco, per etichetta Rough Trade, prodotto da Steve Mackey dei Pulp. Vengono da Peckham, a sud di Londra, e francamente hanno troppo l’aria e le frasi da brave ragazzine di quartiere per essere credibili.
Rowan balla, canta, suona piano e percussioni africane. Robin fa maratone, gioca a rugby, football e disegna. Sylvie fa ginnastica, football, teatro, balletto, ed è anche una modella. A 10 anni. La mamma Dido non nasconde il fatto che è la seconda più ricca a guadagnare in famiglia.
Ovviamente i genitori Dido e Tim sono musicisti, e le ragazzine sono cresciute a pane e musica, ed effettivamente nel disco lo dimostrano pure. Cantano in coro armonico, suonano chitarre acustiche e batteria, e a quanto pare se la cavano anche con la resa in pubblico.
Tuttavia, il disco, che alle prime battute con Forever, Rain Falls Down, e River sembra tutto sommato un episodio alternative-pop più che dignitoso comincia a deviare in cantilena con Ok, per proseguire con coretti ridicoli in Beer Fear della più piccina Sylvie, che francamente non dovrebbe cantare, e per terminare infine con un puro scherzo musicale, Elastic Band, che sembra quasi una presa in giro per l’ascoltatore.
Rowan è certamente la più dotata, ed esperta: il testo di Forever, dedicato alla paura del padre dell’arrivo della fine del mondo, è profondo e saggio.
Ma c’è qualcosa di troppo sdolcinato, di troppo confezionato, di troppo confettato nel disco per essere tutto puro e originale. Troppo da vicino la prova delle tre ragazze ricorda gli Hanson degli anni ’90, e c’è troppo di costruito intorno a questa famiglia di prodigi (a quando la più piccola, Peaches, di 5 anni, entrerà nella band, dopo aver ispirato il nome HoneyHahs?). Quando le tre ragazzine cantano in coro insieme, e la voce della più grande confonde le altre due, l’effetto finale sembra ispirato, come in Sometime Ago, o Concrete, ma quando ciascuna delle tre si dedica a strofe singole vengono fuori i difetti, anche di incisione, di una voce di soli dieci anni.
Non sono i primi prodigi nella storia della musica, tutt’altro: ma il talento di queste ragazzine è tutto da sviluppare, e forse piuttosto che un disco si poteva più seriamente incidere un EP, per aspettare poi che almeno fossero tutte e tre teenager, con un po’ più di esperienza di vita e di musica.
Esperimento decisamente non riuscito, insomma, questo Dear Someone, Happy Something, da riprovare fra qualche anno.
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autore: Francesco Postiglione