Music for Freaks? No, Musiche Furlane Fuarte. I localismi hanno ancora un senso (grazie a Dio), e allora ecco che per le mani non c’è un imminente tormentone da consolle della premiata label electro britannica, ma una “provincialissima” produzione dall’estremo nord-est del Belpaese, quel Friuli che in tempi recenti ha visto riconoscere dalla linguistica ufficiale lo status di idioma a sè stante – al pari degli altri cugini neolatini – il proprio dialetto.
Poco avvezzi al “furlano”? Non ve ne dolete. Anche perché, in caso contrario, temo dovres comunque arrendervi al “beneciano”, dialetto – questo sì – delle valli di lingua slovena presenti al di qua del confine. E poi, vabbè, c’è la nostra lingua nazionale, ma come già in mille altre occasioni è sui suoni che preferiamo soffermarci. Tenendo presente che non siamo che a un tiro di schippo da Trieste, comunemente nota anche come “porta dei Balcani”.
Ed è proprio nel subcontinente sud-orientale, con ottoni e grancasse d’ordinanza, che si svolge buona parte di un viaggio musicale (su tutte la melmosa e sorniona ‘Sbrume’, molto più della solita cavalcata tzigana a mille all’ora) che ha comunque modo per caratterizzarsi come “patchanka” folle e contaminata, con ben più di un’affinità al multiculturalismo di un Manu Chao. Un accostamento che si fa forte quando questa vera e propria “corazzata sonora” si fa viva dalle parti del SudAmerica per un tango (‘Spine’) mollemente adagiato sulle “frequenze” cantautoriali di un Capossela, quando il Natisone prende una strana confluenza col Rio Bravo (la tex-mex ‘Magnolia’) o quando certo upbeat folk irlandese tutto violini e fisarmoniche coglie il bersaglio dei Clash (‘White Man’, quello, chiaramente, ‘in Hammersmith Palais’) o, più genericamente, le frenetiche cadenze del punk (‘L’Enfant Sauvage’, retaggio del loro primo demotape, con un basso decisamente “modern”), fino a saltare a piè pari nella vicina Scozia (le pive, cugine delle fisarmoniche, nell’incipit dell’iniziale, e anche conclusiva ‘Conte de Libertat’, in cui figurano anche le percussioni dei locali Tambours de Topolò).
Più “autoctone” invece ‘Una Pissada di Vacja’ (che se questo tipo di folk avesse i suoi dovuti canali diffusivi potrebbe candidarsi a vera e propria “hit” – in mancanza di ciò, è semplicemente il motivetto che non riuscite a smettere di fischiettare) e ‘Vos di Ploe’, laddove l’annunciata reprise di ‘Conte de Libertat’ mette in scena un convulso medley di tutto l’universo folk degli Arbegarbe, chiamando in causa anche inaspettate “meditazioni” alla Paolo Conte. Un disco ganzo, e non solo per i ritmi. Le minestre riscaldate giacciono fortunatamente altrove…
Autore: Roberto Villani