Kim è un vulcanico musicista francese, di origini italiane, di cui la leggenda racconta che questo sarebbe il suo diciottesimo disco, si affaccia per la prima volta sul mercato italiano, piuttosto incoraggiato dal precedente Don Lee Doo, che gli ha portato qualche riconoscimento al di fuori della Francia, ispirandogli l’idea di una trilogia, di cui questo Mary Lee Doo è il secondo episodio. Multistrumentista, consumatore compulsivo di musica, piuttosto somigliante in viso a Jamiroquai, Kim canta in inglese, e a quanto pare ha dimostrato nei lavori precedenti una notevole capacità di passare attraverso generi musicali i più vari, tra pop, rock, folk ed electro dance anni 80; ed in quest’album, ci conquista, diciamolo pure, con canzoni molto graziose, suonate avvalendosi puntualmente della tastierina omnichord, oltre che di synth, basso slappato, samples vari, chitarre, handclap, ed una vocina acuta che ricorda quella di Prince. La sua conoscenza della musica emerge in alcune scelte sonore, nel suo pescare a piene mani campioni che hanno funzionato tra le hit musicali: David Bowie, Paul McCartney, Pet Shop Boys, Jamiroquai, ad esempio; ma Mary Lee Doo è un disco che con estrema semplicità fa centro, grazie ad alcuni episodi orecchiabilissimi, ballabili e dall’esemplare gusto pop. Così è per ‘Solid Rock’, malgrado plagi nel ritornello ‘Ashes to Ashes’ di Bowie, e per ‘Lady Blue’, che porta uno splendido bridge beatlesiano nel mezzo, ‘Move On’ e poi l’omonima ‘Mary Lee Doo’. Ma anche ‘Can you Hear me this Way’, con azzeccato assolo di omnichord, è una canzone che Robbie Williams se la sogna davvero.
Autore: Fausto Turi